Guardate, a pagina tre, il sondaggio di Swg su che cosa pensano – o meglio: su che cosa desiderano – gli italiani riguardo alla guerra in Ucraina. Le risposte della maggioranza dei nostri concittadini non mi sorprendono. Ma mi deprimono. Dunque vediamole, queste risposte. Alla domanda su quale sia lo scenario "più auspicabile", la maggioranza assoluta fa sapere che spera in una vittoria della Russia. Per la precisione: il 46 per cento vuole che il conflitto si interrompa con la Russia che mantiene il controllo della Crimea e dei territori occupati del sud-est. Il 6 per cento addirittura spera nell’occupazione dell’intera Ucraina da parte delle armate di Putin.
Solo il 23 per cento auspica una controffensiva ucraina; il 25 per cento, per non sbagliare, non sa. Non desidera. Non spera. Forse non si interessa. E non sia mai che la Finlandia e la Svezia si mettano in testa di organizzare una difesa in vista di un eventuale attacco russo. La maggioranza (45 cento) non vuole il loro ingresso nella Nato, perché "aumenterà il rischio di conflitto con la Russia".
Nobile anelito, quello alla pace. Siamo tutti d’accordo. Ma se si è disposti a darla vinta (in parte o in tutto) a chi la pace l’ha violata, invadendo un Paese sovrano con i carri armati e bersagliandolo di missili, allora sorge il dubbio che il vero desiderio non sia la pace, ma la pancia. Nel senso di pancia piena: se la guerra finisce, e non importa come, finiscono anche le conseguenze economiche per noi, e possiamo evitare di stringere la cinghia. Franza o Spagna, purché se magna.
Tutti vogliamo la pace. Ma distinguiamo la pace dal pacifismo. Di pacifismi, oggi, ce ne sono tre, tutti definibili con un termine che, casualmente, comincia con la lettera ’i’. Il primo è il pacifismo interessato. È quello che emerge dai dati sopra riportati. L’interesse è che l’economia non rallenti. E ci mancherebbe. Anche su questo siamo tutti d’accordo. Ma se il prezzo da pagare perché la ’mia’ condizione economica, mia di cittadino italiano, è che un altro popolo ne debba pagare le conseguenze, allora non ci siamo. Vorrei vedere se, in caso di guerra in Italia, gli ucraini dovessero rispondere, in un sondaggio, che sperano che ci vengano sottratte la Lombardia e il Veneto, purché loro possano continuare a venderci il materiale per fare le piastrelle.
Questo pacifismo non è amore per la pace: è amore per se stessi e per la propria comfort zone. È immorale ed è anche miope, perché non risolve nulla. È lo stesso pacifismo che nel 1938 alla Conferenza di Monaco indusse gli occidentali a lasciare a Hitler i Sudeti (dopo che si era già preso l’Austria) pur di evitare guai peggiori. Churchill, che allora era all’opposizione, rimproverò chi aveva ceduto al diavolo dicendo: "Per evitare la guerra avete perduto l’onore senza riuscire a evitare la guerra". E infatti Hitler, visto che lo si lasciava fare, l’anno dopo invase anche la Polonia. E scoppiò la seconda guerra mondiale.
Vorrei ricordare al partito di Franza o Spagna che negli anni scorsi Putin ha fatto quel che ha fatto in Cecenia, in Siria, in Crimea. Ora gli lasciamo anche il Donbass e Odessa, pur di far finire la guerra? Lui si sentirà più forte, e fra un anno di guerra ne scatenerà un’altra. Ma poi: vogliamo decidere noi per gli ucraini? Se resistono, forse è perché non sono d’accordo con il 46 per cento dei nostri concittadini, né con il restante 6.
Il secondo pacifismo è quello ideologico. Cioè: no all’invio di armi agli ucraini. Però magari, ecco, per qualcun altro anche sì. Chissà, per dire, ai palestinesi. Questo è il pacifismo antiamericano e più in generale antioccidentale. Il terzo pacifismo che comincia con una ’i’ è quello ingenuo. Ossia di coloro che gridano: dialogo! Dialogo! Infatti questo sondaggio Swg ci dice che il 56 per cento degli italiani è "dialogante per cercare un accordo". E pure qui, santo cielo, siamo tutti d’accordo che sia meglio cercare di risolvere una crisi con il dialogo – con le trattative, con i negoziati – piuttosto che con le armi. Ma per dialogare bisogna essere in due. Per volere la pace bisogna essere in due. E bisogna anche che tutti e due vogliano il bene comune, vogliano la giustizia e non i propri interessi. Se per Putin l’unica condizione per interrompere le ostilità è l’annessione di pezzi di Ucraina alla Russia, siamo da capo: siamo all’arrendersi al prepotente.
Il partito del dialogo dice: perfino il Papa vuole il negoziato. E certo. Infatti, in un’intervista al direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana ha nominato per la prima volta Putin, e ha detto che lo vuole incontrare. Lui, Putin, non gli ha neppure risposto. E se uno non accetta di parlare con il Papa, con chi volete che si metta a trattare?
Naturalmente qualcuno dirà che questi son discorsi da guerrafondai. Eh no: i guerrafondai sono quelli che invadono un Paese, e un pochino anche quelli che sono disposti a dargliela vinta. Non si tratta di ribadire il classico si vis pacem, para bellum : ma di chiedere, a chi non vuole che gli ucraini combattano, di indicare un’alternativa realistica, e non dei buoni propositi.
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