
L’incontro burrascoso del 28 febbraio scorso alla Casa Bianca tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump (78 anni), e il leader ucraino Volodymyr Zelensky (47)
"Ottima telefonata", sostiene Donald Trump, con rituale tecnica da piazzista, dopo un’ora di conversazione con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. "Conversazione positiva, molto sostanziale e schietta", sta al gioco il leader ucraino. Ma da Kiev non segue alcuna reazione altrettanto entusiasta sul racconto (in versione americana) della chiamata di 24 ore prima tra lo stesso Trump e il presidente russo Vladimir Putin: punti cardine un cessate il fuoco di 30 giorni su infrastrutture e impianti energetici (in realtà più utile a Putin per evitare i crescenti danni alle raffinerie) e l’avvio di negoziati tecnici tra Mosca e Washington (già domenica a Gedda) per raggiungere la tregua assoluta convenuta da Kiev.
Zelensky esprime "riconoscenza per la leadership del presidente Trump in questo sforzo" e ribadisce "la sua disponibilità ad adottare il cessate il fuoco totale". Ma i virgolettati del leader ucraino sfiorano appena l’esito della telefonata tra Casa Bianca e Cremlino. C’è solo un passaggio di allarme implicito per le scelte di Washington. Zelensky allude alla richiesta russa perché Trump tagli le forniture militari all’Ucraina.Così ricorda via X "l’importanza del concetto del presidente Trump di pace attraverso la forza".
La Casa Bianca nega patti con Mosca sullo stop all’assistenza militare a Kiev. Però, dal lato russo, i comunicati parlano chiaro: la richiesta c’è e il Cremlino la considera cruciale. Ovviamente Zelensky tiene alta la guardia: chiede agli Stati Uniti ulteriori sistemi di difesa aerea, in particolare sistemi missilistici Patriot, e il presidente americano si dice "disponibile a lavorare per reperire quanto possibile, soprattutto in Europa". Una risposta così vaga – calibrata sull’obiettivo di non indispettire Mosca – fa sobbalzare il leader ucraino che su X puntualizza: "Gli ucraini vogliono la pace", come dimostra l’accettazione del "cessate il fuoco incondizionato" approvato dai team "ucraino e americano a Gedda". Ora l’intesa tra leader è di "mantenere un contatto al massimo livello e via team".
Gli effetti del nuovo corso sul teatro operativo sono parziali. Positivo lo scambio congiunto di 375 prigionieri. Negativo il cessate il fuoco sulle infrastrutture. A Sumy un drone russo Shahed colpisce un ospedale, mentre nell’area di Dnipropetrovsk una pioggia di missili compromette la rete elettrica ferroviaria. Da parte sua, Kiev bersaglia installazioni energetiche nel Kuban, lato russo del Mar Nero. Un sabotaggio delle intese? "Certamente", annota il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Ma poi il colloquio Trump-Zelensky allinea i contendenti. L’Ucraina accetta "la fine degli attacchi alle infrastrutture" come "uno dei primi passi verso la fine della guerra", mentre Putin annuncia la pressoché totale riconquista del Kursk, e Peskov apre a un summit con Trump in Arabia: "L’opzione non può essere esclusa".
Fermo l’accordo Washington-Kiev sui minerali, Trump prova a raddoppiare il business puntando sulle centrali elettriche ora protette dalle intese: "La proprietà americana di queste centrali rappresenterebbe la migliore protezione e il miglior supporto per l’energia ucraina", è l’offerta interessata, mescolata alla promessa di "riportare a casa" i 35mila minori ucraini deportati in Russia. Zelensky sta al copione di giornata: "Nessuna pressione da Trump. Abbiamo parlato di una sola centrale (ndr, quella nucleare di Zaporizhzhia ora sotto controllo russo). Crediamo che insieme al presidente Trump e sotto la guida americana si possa raggiungere una pace duratura già quest’anno". Ma i motivi profondi del conflitto sono ancora tutti sul tavolo.