di Marta Ottaviani
Questa volta il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha cantato vittoria troppo presto. Nel suo discorso di sabato a Istanbul aveva detto che ieri sarebbe stata la festa della vittoria per il primo turno delle elezioni. E invece per la prima volta nella sua carriera politica si trova rimandato al 28 maggio, con il rischio di essere bocciato dai turchi. Ieri sera, con quasi il 95% delle schede scrutinate, il leader islamico guidava la corsa elettorale con il 49,63% dei consensi. Una percentuale diversa dai plebisciti a cui è abituato. Lo sfidante, il repubblicano, Kemal Kilicdaroglu, ha sfiorato il 45%. Un risultato di tutto rispetto, che se non ha frenato, per il momento ha almeno rallentato la galoppata del Reis, come chiamano Erdogan nel suo partito, verso la vittoria. Un voto che secondo lo Ysk, l’Alto Consiglio Elettorale, si è svolto con correttezza e senza zone d’ombra.
Ma l’opposizione non la pensa allo stesso modo. Ieri sera i sindaci di Istanbul e di Ankara, Ekrem Imamoglu e Mansur Yavas, hanno attaccato frontalmente l’agenzia stampa di Stato, Anadolu Haber Ajans, spiegando che si trova "in stato vegetativo" ormai dal 2019 e accusandola di avere diffuso dati palesemente a favore del presidente Erdogan. "Viviamo la stessa scena tutte le elezioni – ha spiegato Imamoglu, elencando tutte le volte in cui di dati di Anadolu si siano rivelati gonfiati –. Se guardiamo alle cifre in nostro possesso, possiamo dire che il nostro candidato, Kemal Kilicdaroglu, sarà proclamato presidente stasera. Siamo avanti sia a Istanbul sia ad Ankara".
A comprovare la versione dei due sindaci, ci sarebbero i dati dell’agenzia indipendente Anka, secondo la quale i due concorrenti alla presidenza della Repubblica in realtà sarebbero testa a testa con un vantaggio per Kilicdaroglu, risultato coerente con tutti i sondaggi circolati fino a tre giorni fa.
Peccato che, per la legge turca, gli unici risultati che contano, sono quelli validati dallo Ysk. Proprio per questo ieri sera, Omer Celik, dirigente dell’Akp, il Partito islamico per la Giustizia e lo Sviluppo del Presidente Erdogan, ha fatto appello alla calma e invitato ad aspettare la proclamazione dei risultati ufficiali, accusando l’opposizione di aver voluto inscenare polemiche quando lo spoglio delle schede era ancora nelle prime fasi. "Il nostro Presidente è di gran lunga avanti – ha detto –. Ma noi faremo le nostre dichiarazioni solo quando verranno dichiarato i dati. Farlo prima è molto imbarazzante".
A vedere com’è proseguito lo spoglio, si direbbe che quella dell’opposizione sia stata un’azione preventiva, vista la piega che stavano prendendo le cose. Il popolo di Erdogan, ieri già dalla prima serata, si sia raccolto sotto la sede dell’Akp di Ankara, per la precisione sotto il balcone da cui il presidente per oltre 20 anni ha tenuto il suo discorso della vittoria. Un elettorato stretto attorno al suo leader e che non ammette di perdere, come il suo leader. "Siamo pronti a tutto per difendere la nostra democrazia – spiega una donna, velata e con il suo bambino piccolo in braccio, mentre tiene in mano anche la bandiera turca –. Scenderemo in piazza, la vittoria sarà nostra".
Parole fin troppo chiare, che descrivono una piazza sempre più radicalizzata, aizzata da Erdogan, che voleva chiudere il conto ieri, negli ultimi giorni di campagna elettorale. Invece dovrà aspettare il 28 maggio, in un Paese sempre più polarizzato, dove una parte è compatta nel sostenere il leader e quell’altra è composta da fin troppe anime, ma vuole che il leader se ne vada. Il dramma è che la prima è molto più arrabbiata della seconda. Molti si ricordano fin troppo bene non solo la notte del golpe del 2016, ma anche gli scontri di piazza degli anni Settanta, che questa volta potrebbero ripetersi con il potere nelle mani di uno solo.