Sabato 27 Luglio 2024
ALESSANDRO FARRUGGIA
Esteri

Tunisi, l’altro limbo dei profughi. Accampati davanti agli uffici Onu. “Aiutateci a emigrare legalmente”

Viaggio in uno dei quartieri più esclusivi della capitale tunisina, tra negozi eleganti e “sans papiers“. Decine di persone subsahariane in attesa di documenti. “Ma ci sbagliavamo, rimangono solo i barconi”

Tunisi, 28 novembre 2023 – I “sans papiers“ tunisini, i migranti subsahariani senza documenti che chiedono di veder riconosciuto il proprio diritto d’asilo li trovi non nelle viuzze tortuose della Medina o in qualche quartiere periferico, ma in uno dei quartieri più esclusivi della capitale, un quartiere che si affaccia su uno dei grandi laghi di Tunisi e che fu donato dall’Arabia Saudita come simbolo di amicizia (e in cambio ottenne, era il minimo..., che non vi si vendesse alcol).

Un quartiere costellato di palazzi per uffici, ma anche di negozi eleganti, caffè, ristoranti. Non è Dubai, ma per Tunisi è una location prestigiosa. E i migranti subsahariani li trovi qui, ammassati in un palazzo mai completato che si affaccia sulla strada principale e su uno dei due piccoli parchi del quartiere. La spiegazione dell’apparente contraddizione è semplice. In una nazione che non ha una legge sul diritto d’asilo per provare a vederlo riconosciuto si può solo tentare con organizzazione internazionale come Oim o Unhcr e i migranti sono a Lac 1 proprio per questo, perché qui ci sono le sedi delle due organizzazioni.

Una protesta di migranti davanti alla sede di Tunisi dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni
Una protesta di migranti davanti alla sede di Tunisi dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni

Ci sono dal 2022, con alterne vicende e ben pochi risultati portati a casa, nonostante le parole. La tensione e l’insoddisfazione sono cresciute in questa gente dimenticata fino a che l’11 aprile la tensione sfociò in scontri con la polizia, qualche auto bruciata, fermi, arresti e in uno sgombero generale. Ma, come la marea, sono tornati a piccoli gruppi, nello stesso posto, e adesso sono ben oltre mille. Campeggiano nel parco, sotto tende improvvise. Vivono nel palazzo, in buona parte uno scheletro di palazzo. Senza elettricità e acqua corrente.

“A maggio – dice Mohammed, 22 anni, maliano, ex studente – l’Unhcr ha riaperto gli elenchi per i richiedenti asilo che consentono di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato, che ti consente di avere una tessera che ti qualifica come tale e da un contributo di 100 euro per quattro mesi. Ho fatto domanda, mi hanno preso. Ma questa ovviamente non è la soluzione, è solo un cerotto. Noi siamo tutti provenienti da zone di guerra o perseguitati politici, vogliamo avere lo status di rifugiati in Europa. Ne abbiamo diritto. Questo dicono le regole internazionali, ma l’Europa volta la testa dall’altra parte. Ci danno qualche spicciolo e basta, ci arrangiassimo”.

“Ho passato due anni in Libia – dice Moussa, 25 anni, nigerino – sfruttato come un cane, fatto lavorare a giornata e pagato una miseria. i caporali ci facevano attendere agli angoli delle strade, prendevano qualcuno di noi e ci portavano nei cantieri. Molti cercavano di fare così un po’ di soldi per salire su un barcone, io mi sono fidato di chi mi diceva che dalla Tunisia si potevano avere le carte per entrare legalmente in Europa. Mi sono sbagliato, il barcone è l’unico modo”. Un vicino che dice di essere del Benin annuisce. E da tempo gli squali girano.

Gli harka, i passeur tunisini, mandano in giro i loro procacciatori d’affari per traghettare gli ultimi migranti in un business che sta ritornando con forza verso la Libia, dove i clan hanno chiuso il rubinetto per sfruttare loro, come prima, il flusso di disperati che viene da sud. In Tunisia le partenze, da ottobre, sono in netto calo, e i passeur raschiano ormai il fondo del barile che li ha fatti ricchi. “Ci fanno offerte di passaggi per l’Italia a soli 2mila dinari, a volte anche meno – racconta Mosslem, 37 anni, ex militare eritreo –, ma un mio amico è partito e non ne so più nulla. Eravamo d’accordo che una volta che fosse stato in Italia, mi avrebbe chiamato a questo cellulare, ma non lo ha fatto. È morto nella traversata? I trafficanti lo hanno truffato e gli han rubato tutto? Non lo so, ma non mi fido delle offerte che girano e dico solo una cosa: a pagare siamo sempre noi africani, sfruttati anche in Tunisia. Non ho più speranze, né un piano, e ho quasi finito i soldi. Ho solo occhi per piangere”.

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