Mercoledì 4 Dicembre 2024
ROBERTO BRUNELLI
Esteri

Truppe filo-iraniane in Siria: "Pronte a sostenere Damasco". E il regime accusa gli Stati Uniti

Il presidente Assad: Washington vuole ridisegnare la mappa geografica. Poi chiede l’intervento dell’Onu. Sul fronte libanese vacilla già la tregua: Hezbollah lancia i primi razzi, Israele risponde con i raid.

Truppe filo-iraniane in Siria: "Pronte a sostenere Damasco". E il regime accusa gli Stati Uniti

Il presidente Assad: Washington vuole ridisegnare la mappa geografica. Poi chiede l’intervento dell’Onu. Sul fronte libanese vacilla già la tregua: Hezbollah lancia i primi razzi, Israele risponde con i raid.

Caccia siriani e russi squarciano il cielo rosso fuoco di Aleppo. Spezzare la continuità delle postazioni dei ribelli jihadisti che hanno preso il controllo della seconda città della Siria: questo l’obiettivo, mentre il "nuovo" conflitto che infiamma il regime di Assad allarga sempre di più le sue spire ben oltre i confini siriani. Quasi contemporaneamente, i jet americani hanno lanciato un raid contro le milizie sciite irachene mosse alla volta di Damasco, mentre continuano anche gli scontri tra le forze sostenute dalla Turchia e l’ala siriana del Pkk nei distretti a nord di Aleppo e nel quartiere di Shaykh Maqsud. Allo stesso tempo, in Siria centrale, l’avanguardia dell’offensiva jihadista filo-turca, guidata dal gruppo islamista Hayat Tahrir ash Sham, ha dato avvio all’accerchiamento della città-chiave di Hama, per impedire ai rinforzi corazzati iraniani giunti dall’Iraq di sostenere le forze governative.

Sì, è il quadro di un corto-circuito sanguinoso nel cuore del Medio Oriente, ma non sfugge a nessuno che la guerra siriana vada ben oltre i combattimenti tra le forze ribelli e il regime di Assad. È un confronto che va da Mosca a Pechino, da Washington alle capitali europee, da Ankara a Teheran. Vladimir Putin – consapevole della posta in gioco – non a caso ha detto con chiarezza da quale parte stia: "Sostegno incondizionato alle azioni delle legittime autorità della Siria per ripristinare l’ordine costituzionale e l’integrità territoriale del Paese", è la formula usata in una dichiarazione congiunta al termine di una telefonata con il presidente iraniano Massud Pezeshkian. E pure la Cina esprime il suo sostegno alla Siria negli sforzi "per il ritorno alla stabilità".

A Washington certamente hanno preso nota. Insomma, si profila uno stallo di fatto nel quale persino Assad sta tenta la carta della diplomazia globale: è infatti su richiesta del governo siriano, sostenuto dai tre membri africani (Mozambico, Sierra Leone e Algeria), che per oggi è stata fissata una seduta d’emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu, laddove Usa, Francia, Germania e Gran Bretagna chiedono con forza una "de-esclation", sollecitano la protezione dei civili e affermano "l’urgente necessità di una soluzione politica", come riferisce il dipartimento di Stato Usa. Ma non sorprendentemente è proprio sugli Stati Uniti che Assad punta il dito: l’autocrate di Damasco parla di una "escalation terroristica" che avrebbe come scopo di "ridisegnare la mappa geografica secondo gli interessi dell’America e dell’Occidente". Gli fa eco il ministero degli esteri degli ayatollah, secondo cui l’attività dei terroristi è "il risultato della presenza degli Usa in Siria".

Ovvio che le fonti diplomatiche abbiano gioco facile nel far notare che la crisi siriana è strettamente collegata al quadrante Gaza-Libano, con le forze jihadiste in Siria che avrebbero colto l’occasione della tempesta nei Paesi vicini per cercare di sloggiare l’odiato Assad. Al tempo stesso gli Usa con estrema difficoltà cercano di preservare il cessate il fuoco, sempre più esile, tra Hezbollah e Israele. Ecco l’ennesimo avvertimento di Washington rivolto a Tel Aviv: state violando la tregua, questo il messaggio, "con il ritorno visibile e udibile dei droni nei cieli di Beirut". Contemporaneamente, due razzi sono stati lanciati da Hezbollah verso le postazioni israeliane. Netanyahu già promette vendetta: "Risponderemo con forza". Alla fine della giornata, poi, l’annuncio dell’Idf della nuova raffica di raid sui sei villaggi, che secondo i media libanesi avrebbe provocato feriti, in risposta ai colpi di mortaio di Hezbollah. Il silenzio delle armi è fragile, molto fragile. Forse un’illusione.