Un ex presidente pronto a riprendersi la scena a ogni costo, una nazione che potrebbe vivere nuove tensioni, con tutte le ricadute sul contesto internazionale. Andrew Spannaus, analista americano, fondatore del sito transatlantico.info e del podcast House of Spannaus, spiega perché la situazione è delicata, ma i margini dell’ex presidente rimangono limitati.
Andrew Spannaus, con il comizio in Texas Donald Trump sembra aver ufficialmente iniziato la campagna in vista delle presidenziali del prossimo anno. "Questo è il primo grande comizio fatto finora e avviene in un momento in cui è attesa l’incriminazione. Infatti buona parte del suo intervento si è concentrato sul fatto che la giustizia viene utilizzata contro di lui. Il tycoon tradisce una grande paura di avere guai giudiziari non solo a New York, ma anche altrove nei prossimi mesi".
Quanto è probabile secondo lei l’incriminazione? Trump la sta usando per mobilitare la sua base? "Trump probabilmente vuole utilizzare questa minaccia di una mobilitazione popolare per frenare le iniziative nei suoi confronti. Va però ricordato che il caso di New York è quello meno significativo. Tra le varie indagini, le più serie sono in Georgia per interferenza nelle elezioni e l’inchiesta per l’assalto del 6 gennaio a Capitol Hill. Io penso questo: se sarà incriminato a New York diventa più probabile che sarà incriminato anche per uno degli altri casi più pesanti".
Cosa succede nel Partito Repubblicano, il Partito di Trump? La sua leadership è davvero così incontrastata? "Il Partito repubblicano non è riuscito a metabolizzare gli anni di Donald Trump e a proporre una leadership migliore. Biden ha incorporato una bella fetta della politica di Bernie Sanders ed Elizabeth Warren pur rimanendo un moderato nel campo democratico. I repubblicani, invece, non sono riusciti a fare lo stesso e rimangono spaccati. La dirigenza non crede che Trump debba essere il candidato nel 2024, però perderebbe una consistente parte della base che sta ancora con lui".
Che posizione hanno i repubblicani sulla collocazione degli Usa in politica estera? "Trump continua a ripetere che Biden ci sta portando verso la terza guerra mondiale e che lui fermerebbe il conflitto in Ucraina. Da sempre, peraltro, critica la politica delle guerre all’estero e da sempre cerca un’apertura con Putin pur fallendo miseramente su questo punto, anche se forse non solo per colpa sua. Ma anche Ron DeSantis ha preso le distanze dalla politica dell’amministrazione Biden sull’Ucraina, dicendo che si tratta di una disputa territoriale e che gli Usa devono stare attenti a non entrarci troppo. Perfino Nikki Haley ha detto recentemente che non devono essere investiti troppi soldi e inviate le truppe in Ucraina".
Facciamo finta che Trump l’anno prossimo vinca le elezioni: come si comporta con Russia e Cina? "Ritengo improbabile che possa vincere. Ma se dovesse succedere, la situazione è diversa rispetto a 5 o 6 anni fa. Oggi l’alleanza tra Russia e Cina è importante per entrambi i Paesi. La Russia non vuole rimanere isolata e ha bisogno di un aiuto economico; e la Cina non può permettersi una sconfitta netta di Mosca e vuole contrastare quello che viene visto come un predominio unilaterale degli Stati Uniti. Va poi detto che le istituzioni americane non permetterebbero a Trump di cambiare la politica verso la Russia in modo repentino".
La democrazia americana è in pericolo? "Non credo. Le istituzioni americane non lo vogliono e credo siano pronte per evitare che faccia cambiamenti significativi".