Roma, 16 luglio 2024 – Esistono proiettili o dardi che fin dall’antichità sono riusciti a cambiare il senso della storia. Chissà se sarà il caso anche di quello sparato da Thomas Matthew Crooks, che con un fucile due giorni fa, da lunga distanza, ha provato ad uccidere Trump durante un comizio in Pennsylvania, ferendolo ad un orecchio.
E nella fotografia che in pochi istanti ha fatto il giro del mondo, e che passerà ormai alla storia, dell’ex presidente che indomito, dopo essere stato colpito, sanguinante, si alza in piedi e con il pugno rivolto verso il cielo urla: "Fight…fight!" sotto alla bandiera a stelle strisce che sventola nel cielo terso, incitando la folla dei suoi sostenitori a non mollare mai neppure di fronte al rischio di morte, c’è una simbologia chiara e per certi aspetti inquietante che un po’ goffamente rimanda a momenti epici e mitologici della storia.
Nei poemi omerici, Eleno, figlio di Priamo e fratello di Ettore, ferì Achille al polso con una freccia scoccata dall’arco d’avorio donatogli personalmente dal dio Apollo. Ma se Eleno intervenne per difendere Ettore, in questo caso Matthew Crooks non voleva difendere nessuno, aveva pianificato di colpire a morte deliberatamente Trump che invece, come un leone mai domo, si rialza vistosamente sanguinante ad una guancia e ruggisce. "Vado alla convention di Milwaukee, non mi fermeranno – ha detto dopo l’attentato – in questo momento è più importante che mai rimanere uniti e mostrare il nostro vero carattere di americani, non permettendo al male di vincere".
La percezione retorica che evidentemente si vuol trasmettere all’opinione pubblica mondiale attraverso la simbologia dei gesti e delle parole, al di là della mera gravità del tentato omicidio, è quella di un uomo che, dopo aver subito negli ultimi mesi attacchi di vario tipo e processi, viene ferito durante un comizio e non solo non si fa intimorire, ma anzi, vuol mostrare alla folla il suo sangue e il suo coraggio, mentre dall’altra parte il candidato Biden appare sempre più debole e confuso. Come a voler dire "io vi garantisco protezione e potenza e nessuno può abbattermi, neppure un cecchino con un fucile da guerra".
Viene da pensare che qualcuno, capziosamente, per suscitare pietas, voglia far fare all’opinione pubblica qualche incerto parallelismo forzato con figure epiche come il pelide Achille, perché in lui tutto è estremo ed eccessivo, portato al parossismo; lui che non riesce a governare l’impeto dei suoi sentimenti né ad arginare l’incendio delle sue emozioni. Un personaggio fatto di rabbia e di lacrime, Achille, di una modernità strabiliante. La sensazione è che l’immagine di un Trump sanguinante, ferito, ma mai impaurito, sia un messaggio simbolico al mondo.
La storia, del resto, è maestra di vita e piena zeppa di esempi “epici”. L’immagine di Alessandro Magno nel 333 a.C. colpito ad una coscia durante la battaglia di Isso, quella di Napoleone ferito alla caviglia nella battaglia di Ratisbona del 23 aprile 1809 passata agli annali; e che dire di Garibaldi leso nell’Aspromonte, nel 1862, dall’esercito piemontese? La sua icona divenne così mitica che ancora oggi qualcuno canta: "Garibaldi fu ferito…".
Non è improbabile che Trump sia caduto vittima della stessa violenza che ha incitato nei confronti degli altri. Il tentato omicidio dell’ex presidente e l’omicidio di una persona che si trovava vicina a lui suscitano il nostro orrore e la nostra rabbia. La sensazione amara che resta in fondo però è che qualcuno dell’entourage dell’ex Presidente, possa pensare di usare questo momento drammatico per far dimenticare il passato.
Potrà questo attentato cancellarlo in un attimo e trasformare definitivamente l’immagine dell’ex presidente di fronte al mondo? Rimbalza prepotente da lontano una frase di Sepulveda: "Un popolo senza memoria, è un popolo senza futuro".
Una frase più potente di uno sparo.