Roma, 23 gennaio 2025 – Donald Trump brandisce l’arma dei dazi, delle tasse e delle sanzioni (ma anche del ritiro dei soldati americani dal vecchio Continente) con intenti economici, ma anche eminentemente politici. E così, dopo Canada e Messico, nel mirino del presidente Usa finiscono, come ha minacciato in più occasioni, Unione europea e Cina, ma anche la Russia. Il messaggio per Putin, con il quale, però, ripete di “avere sempre avuto una buona relazione”, è diretto: se non ci sarà un accordo a breve per l’Ucraina “non avrò altra scelta se non imporre più tasse, dazi e sanzioni su tutto quello che viene venduto dalla Russia negli Stati Uniti”.
Le prime mosse di Trump, dunque, rispettano, sul fronte della politica estera, il copione annunciato. Ma, almeno a parole, l’Europa tenta di trovare la via di una reazione che vada oltre il silenzio o l’attesa. Da qui le parole di Cristine Lagarde (“Dobbiamo essere preparati”) e di Ursula von der Leyen, che lasciano intravedere l’ipotesi di una reazione a colpi di intese commerciali con Paesi terzi, mentre un gruppo come Stellantis si dice pronto a nuovi investimenti Oltreoceano (non a caso John Elkann ha incontrato il tycoon prima del giuramento). La Casa Bianca ringrazia: tornano 1.500 posti di lavoro in Illinois.
Dazi in arrivo per Europa e Cina
A tre giorni dall’insediamento, il presidente insiste nel suo mantra: chiunque proverà di ostacolare il suo piano per “rendere l’America di nuovo grande” la pagherà cara. Ieri è stata la volta degli ultimatum all’Europa, non a caso nei giorni del Forum economico di Davos, dove interverrà oggi. “Ci trattano molto, molto male e se non correggeranno gli squilibri commerciali dovranno pagare i dazi”, avvisa durante un evento per il lancio di Stargate, la joint-venture da 500 miliardi di dollari per costruire l’infrastruttura necessaria all’intelligenza artificiale. “Non c’è solo la Cina – insiste – che si approfitta di noi. Con l’Ue abbiamo un deficit di 350 miliardi di dollari”. Un preavviso di estensione, verso Bruxelles e Pechino, dei dazi del 10 per cento imposti a Messico e Canada.
L’Europa tenta la resistenza
In prima fila, nel tentativo di reazione alle parole di Trump, scende in campo la presidente della Bce Christine Lagarde, che sostiene di “non essere sorpresa” e sollecita l’Europa “a prepararsi”: “Questo significa mettere in campo grandi investimenti utilizzando la grande capacità di risparmio dei cittadini europei che ora viene spesso indirizzata verso i mercati extra-europei”. E Von der Leyen ipotizza tariffe sui prodotti americani, intese a raffica coi Paesi terzi a cominciare da quelli messi nel mirino da Washington, forte spinta al Made in Europe. La presidente della Commissione sottolinea il lavoro di “milioni di persone”, su entrambi i lati dell’Atlantico: “Ma oltre ai numeri c’è molto di più. Amicizie, legami familiari, storia e cultura comuni. Un aspetto che terremo sempre presente”. Come dire: serve a tutti una pax commerciale. Ma siamo pronti alla battaglia. E a spingere in questa direzione è il premier polacco Donald Tusk, il “Donald europeo” che incalza: “Siamo noi a decidere il nostro futuro, non gli Usa o la Cina”.
La riduzione in Europa dei militari Usa
L’altra arma brandita da Trump riguarda il pressing perché i Paesi europei aumentino le spese militari in rapporto al Pil. È noto che il presidente Usa parli del 5%. Come è altrettanto noto che il target appare complicato, se non impossibile, da raggiungere. E il ministro Guido Crosetto lo spiega senza giri di parole. Ma l’Alto rappresentante dell’Ue Kaja Kallas si schiera con gli Usa: “È tempo di investire”. La novità delle ultime ore, però, riguarda l’intenzione di Trump di ridurre la presenza delle truppe Usa in Europa di circa il 20% – ovvero di circa 20mila uomini – come parte della revisione del suo impegno alla protezione dell’Europa. Non basta. Per gli altri 80mila militari che restano vorrebbe un contributo finanziario da parte dei Paesi europei.