di Marta OttavianiROMADopo gli immigrati, adesso il presidente Donald Trump dichiara guerra ai transgender, determinato a realizzare tutto ciò che ha promesso in campagna elettorale. Un delirio di onnipotenza e arroganza con la benedizione degli elettori, mentre l’unica forma di opposizione, per il momento, è quella della magistratura.
Ieri è stato pubblicato l’ennesimo ordine esecutivo del numero uno della Casa Bianca, con il quale Trump ha vietato la transizione di genere per ragazzi di età inferiore ai 19 anni. "In tutto il Paese oggi – si legge nel testo del documento –, i professionisti della medicina stanno mutilando e sterilizzando un numero crescente di bambini impressionabili con la pretesa radicale e falsa che gli adulti possano cambiare il sesso di un bambino attraverso una serie di interventi medici irreversibili. Questa pericolosa tendenza sarà una macchia nella storia della nostra nazione e deve finire". "La politica degli Stati Uniti – continua l’ordine esecutivo – è quella di non finanziare, sponsorizzare, promuovere, assistere o supportare la cosiddetta “transizione” di un bambino da un sesso all’altro e di far rispettare rigorosamente tutte le leggi che proibiscono o limitano queste procedure distruttive e che cambiano la vita".
L’“ideologia transgender” è una vera e propria ossessione per l’inquilino della Casa Bianca, che ha pensato bene di fare pulizia anche nell’esercito degli Stati Uniti. Secondo Trump, "le forze armate sono state minate da un’ideologia radicale di genere adottata per far contenti gli attivisti". Per questo, nel decreto ha disposto che "l’adozione di un’identità di genere incompatibile con il sesso di un individuo contraddice l’impegno dei soldati ad avere uno stile di vita onorevole e disciplinato, anche nella vita personale".
Secondo le cifre ufficiali, i transgender nell’esercito americano sono circa 15mila e sono pronti a protestare, visto che stanno per perdere il loro lavoro, servendo uno Stato per cui rischiano la vita. E non sono gli unici che rimarranno disoccupati: circa tre milioni di dipendenti pubblici federali statunitensi si sono visti recapitare una mail dall’agenzia federale americana per le risorse umane, che illustra le nuove regole in vigore con l’amministrazione Trump e li invita a dimettersi. C’è tempo fino al 6 febbraio per decidere e chi se ne andrà su base volontaria avrà lo stipendio garantito fino a settembre.
Non solo. Con il pragmatismo e la rapidità che lo contraddistinguono, The Donald ha bloccato sovvenzioni e prestiti federali per un totale di 3.000 miliardi di dollari, destinati ai programmi federali, inclusi quelli di assistenza alle persone, i buoni alimentari e altre forme di supporto. Tagli che erano stati annunciati in campagna elettorale e che la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha motivato affermando che "la responsabilità di questo presidente e di questa amministrazione è quella di gestire bene il denaro dei contribuenti".
Qualcuno, però, stavolta è stato più svelto di lui. Il giudice distrettuale Loren L. AliKhan ha bloccato il provvedimento pochi minuti prima che entrasse in vigore. Il blocco sarà valido fino a lunedì. La magistratura, in questo momento, sembra essere l’unico argine allo strapotere del presidente. I procuratori generali di 23 Stati federali hanno intenzione di lanciare una battaglia legale contro i tagli, unendosi a diverse Ong e ad alcune imprese che hanno già presentato ricorso. In testa ci sono gli Stati della California e di New York, tradizionali roccaforti democratiche. Ma il partito, dopo la cocente sconfitta di Kamala Harris a novembre, non sembra ancora aver trovato una nuova leadership in grado di contrastare il tycoon.