Dopo 16 mesi di guerra a Gaza, Benjamin Netanyahu ha fatto ieri ingresso alla Casa Bianca per affrontare col presidente Usa, Donald Trump, questioni di importanza capitale per lo Stato ebraico: l’eliminazione militare e politica di Hamas, il recupero degli ultimi ostaggi, il futuro della tregua in Libano, la normalizzazione delle relazioni con l’Arabia Saudita e la minaccia nucleare dell’Iran.
"Una missione di portata storica", secondo lo staff del premier israeliano. Per la coppia Netanyahu e per la delegazione di Tel Aviv Trump ha fatto mettere a disposizione un’ala intera della Blair House: la residenza dove vengono alloggiati gli ospiti di maggior riguardo degli Stati Uniti. Inoltre ha sottoposto al Congresso la richiesta di nuovi aiuti militari per Israele per circa un miliardo di dollari. Adesso però gli Usa si attendono dal premier israeliano che assecondi i progetti di ampio respiro elaborati dal presidente, anche se essi dovessero metterlo in contrasto con i partiti della destra massimalista in casa.
Una fonte vicina a Trump ha anticipato che gli Stati Uniti vogliono assolutamente vedere il successo della seconda fase della tregua a Gaza, con la liberazione di tutti i 79 ostaggi israeliani. Ha aggiunto che sono determinati a compiere in quella direzione il massimo sforzo. Gli Stati Uniti sembrano volere assumere la regia dei negoziati. Hanno persuaso Netanyahu ad inviare nel Qatar i suoi negoziatori ed in parallelo hanno invitato a Washington già nei prossimi giorni il premier del Qatar, Mohammed al-Thani. Inoltre per infondere nuova energia hanno convinto (o forse "costretto", secondo Haaretz) Netanyahu ad assegnare la conduzione delle trattative da parte israeliana al suo ministro per le questioni strategiche, Ron Dermer – originario di Miami, molto introdotto nella politica Usa ed in particolare nel partito repubblicano –, relegando così ad un ruolo subalterno gli altri negoziatori: il capo del Mossad, David Barnea, ed il capo dello Shin Bet (servizi segreti), Ronen Bar. Prima dell’incontro una fonte dell’amministrazione Usa ha riferito che durante il recente sopralluogo a Gaza l’emissario di Trump, Steve Witkoff, è rimasto molto impressionato dal livello di distruzione fisica.
Questa è adesso anche la sensazione dello stesso Trump: "I palestinesi sarebbero entusiasti di lasciare Gaza, se avessero la possibilità. Perché dovrebbero tornare a Gaza? È un inferno, uno dei luoghi più sciagurati della Terra. Lascino Gaza per sempre. Con denaro di altri Paesi che vogliono finanziare qualcosa in Giordania o in Egitto – ha aggiunto nell’incontro con Netanyahu – si possono costruire non una ma quattro o cinque aree, con alloggi di gran qualità e una bella città, dove si possa vivere e non morire. Perché Gaza è una garanzia di morte. Alla fine Giordania ed Egitto non diranno no ad accogliere i palestinesi". Assume così maggiore rilievo la prossima visita a Washington del presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi. Sul piano politico, ha precisato la fonte statunitense, "Trump intende impedire che in futuro Hamas mantenga il controllo a Gaza". Da Ramallah l’Autorità nazionale palestinese ha annunciato la costituzione di una ‘Commissione amministrativa’ per la gestione della Striscia di Gaza. E alle dichiarazioni di Trump sul futuro di Gaza ha replicato anche un alto funzionario di Hamas, Sami Abu Zuhri: "Le consideriamo una ricetta per creare caos e tensione nella regione. La nostra gente nella Striscia di Gaza non permetterà che questi piani vengano approvati".
"Hamas non vincerà, non resterà a Gaza" ha detto Netanyahu. "Il cessate il fuoco – ha aggiunto – cercheremo di farlo, è uno dei motivi per cui sono qui. Quando io e il presidente Trump lavoriamo insieme, quando Israele e Stati Uniti lavorano insieme, le possibilità sono molto alte. Quando, come negli ultimi anni, c’è stata più distanza, è più difficile". Il tycoon ieri ha anche firmato un ordine esecutivo che ritira il suo Paese da una serie di organismi delle Nazioni Unite, tra cui il Consiglio per i diritti umani (Unhrc).