Roma, 14 dicembre 2024 – A Damasco splende il sole, l’aria è frizzante e le piazze sono piene di gente in festa. Si può contare su un’ora di elettricità al giorno, bisogna fare a meno delle doccia calda e in certe zone scordarsi del tutto l’acqua. La situazione è surreale, il morale eccellente. Mezzo secolo è stato spazzato via in poche ore con le vecchie bandiere e le foto del presidente Bashar al-Assad che penzolavano anche dagli specchietti retrovisori. È il momento di riscrivere la storia, capire come. Andrea Sparro rappresenta l’organizzazione umanitaria WeWorld in questa terra in cerca di identità. È uno dei pochissimi operatori internazionali a essere rimasto dopo l’arrivo dei ribelli di Hayat Tahrir al-Sham (Hts, letteralmente «Movimento di liberazione della Siria). Dalle finestre del Four Season vede una città che ridipinge le sue saracinesche e mostra con orgoglio il vessillo ripescato dai tempi dell’indipendenza dalla Francia: verde, il colore preferito da Maometto, con le tre stelle rosse.
Nemmeno una settimana fa si sparava da una parte e dall’altra cadevano le bombe di Israele. Adesso in quelle strade riaprono i negozi e ci sono persone felici. Ammetterà che è straniante.
“Io sono un maschio adulto italiano che lavora nel settore umanitario. La Siria è un grande Paese multiculturale e multireligioso rimasta schiacciata per oltre 50 anni sotto la stessa famiglia. Sì, è tutto surreale. Ma solo dal nostro punto di vista. Io li vedo euforici, galvanizzati dalla speranza di un futuro diverso. Certo qualcuno resta scettico sulle intenzioni di un’organizzazione islamista che cerca di fare amicizia. State tranquilli, ci pensiamo noi. Imporranno il velo? Valorizzeranno le diversità? Nel dubbio tanto vale festeggiare”.
Questo momento di transizione comporterà più di un problema pratico.
“Dalla presa di Aleppo a quella di Damasco sono stati giorni di caos totale. Per quarantotto ore ci siamo spostati di casa in casa fra mitragliate e bombardamenti continui, mentre piccoli gruppi criminali coglievano l’occasione per fare razzie. Il 90% dello staff internazionale è stato evacuato in Libano e Giordania, siamo rimasti in dodici. Adesso c’è una semi-normalità, anche se nessuno ha idea di quello che succederà nel momento in cui la forza militare dovrà lasciare il posto al dialogo politico. I mercati si stanno rimettendo in moto, oggi ho potuto fare la spesa. Ma resta il problema dell’elettricità e manca l’acqua. Già prima di questo macello la Siria era in una crisi energetica ed economica enorme, ora è tutto amplificato. E i 17 milioni di persone che avevano bisogno di aiuti umanitari sono ancora lì, in attesa che un nuovo Paese sia ricostruito”.
Quanto ci vuole per ricostruire un Paese?
“Una vita. E sta a chi ha preso il potere decidere come. Le nuove forze ci hanno garantito protezione e campo libero. Il nostro ruolo è ricordare loro che siamo gli occhi del mondo".
Cosa fa più impressione in questa calma apparente?
“Il cambio dell’iconografia. I ragazzini vendono per strada le nuove bandiere che poi sventolano sui balconi, nei negozi, sotto questo hotel. Ancora più impressionante è la totale sparizione delle facce di Assad, di suo padre e di suo fratello. Come se non fossero mai esistiti”.