Brunelli
"Noi siamo il popolo", grida l’immensa folla che ha riempito le strade di Seul dopo il voto di impeachment con il quale la Corea del Sud manda a casa il presidente Yoon Suk-yeol. Sono centinaia di migliaia, fra di loro studenti e pensionati, giovani madri con tanto di carrozzine, padri con i figli sulle spalle. "Oggi siamo veramente uniti, come una vera nazione", dice Yun, studentessa di 21 anni, con voce oramai roca a causa degli slogan gridati davanti alla sede del parlamento. Un momento di coesione, come accade di rado in Corea del Sud: il paese è compatto contro Yoon, persino una dozzina di parlamentari del partito di governo, il People Power Party, ha votato per la messa in stato d’accusa del capo dello Stato, dopo la fumata nera di sabato scorso. Complessivamente, su 300 deputati, sono stati 204 a dire sì all’impeachment: insomma, dopo 950 giorni, la presidenza di Yoon viene sepolta a furor di popolo.
Una volta terminate le verifiche sulla regolarità del voto, Yoon sarà sospeso dalle sue funzioni in attesa della parola finale della Corte costituzionale. Nel frattempo i suoi poteri passeranno al primo ministro Han Duck-soo. A niente sono valse le scuse messe in scena da Yoon dopo il maldestro tentativo, lo scorso 3 dicembre, di imporre la legge marziale, ritirata dopo appena sei ore a seguito di una sonante bocciatura da parte dell’Assemblea nazionale. La Corte costituzionale avrà fino a 180 giorni per decidere: se il verdetto darà il via libera all’impeachment, le nuove elezioni presidenziali si terranno entro 60 giorni dalla sentenza.
La folla festeggia in piazza, ma non mancano le incognite in questa difficile fase della vita politica sudcoreana. Tra i giudici costituzionali ci sono tre seggi vacanti, e dato che probabilmente saranno nominati dall’attuale Assemblea nazionale, qualcuno potrebbe essere sollevare dubbi sull’imparzialità del voto. Poi c’è la vicenda drammatica di Kim Yong-hyun, l’ex ministro alla difesa, che cinque giorni fa ha tentato di impiccarsi nel carcere di Dongbu, a Seul. È accusato di esser stato lui ad aver proposto a Yoon di dichiarare la legge marziale e di avere ordinato il dispiegamento delle truppe davanti al parlamento. Se giudicato colpevole, rischia finanche la pena capitale.
Non solo. Tra i motivi di incertezza istituzionale c’è pure che il Partito democratico, che controlla il parlamento, potrebbe ritenere il premier Han non idoneo a svolgere il ruolo di presidente ad interim: figura tra i partecipanti alla riunione che precedette la dichiarazione di legge marziale, giustificata da Yoon come misura necessaria a "salvaguardare la Corea del Sud dalle minacce comuniste della Corea del Nord".
Una forzatura antidemocratica inaccettabile, per le madri, i padri e gli studenti che oggi a Seul gridano slogan. "Sono così contenta che la gente sia riuscita ad opporsi al presidente", dice la giovane Ji-min alla tv sudcoreana. "Non credo proprio che questo succeda in tutti i paesi".