Roma, 4 novembre 2024 – Passeggiare nuda a Teheran. Un’eroina, una pazza. Quanto coraggio o quanta incoscienza bisogna avere per spogliarsi davanti alla polizia, sapendo che in Iran basta un capello fuori posto per cacciarsi nei guai? E che fine ha fatto la giovane Ahoo Daryaei, arrestata subito il gesto estremo? Da sabato di lei non si hanno più notizie ma il video della sua impresa, girato nel cortile del dipartimento di Scienza e Ricerca dell’Università Azad, ha già fatto il giro del mondo.
La ragazza, madre di due figli, viene rimproverata dalle guardie di sicurezza perché non indossa come si deve il velo islamico. Per protesta lei si toglie i vestiti e resta in slip e reggiseno viola, con le braccia conserte e i lunghi capelli sciolti. Prima si mette a sedere su un muretto tra gli studenti allibiti che riprendono la scena con il cellulare. Poi si allontana a piedi, uno schiaffo al regime senza precedenti. Finché un’auto la affianca e alcuni uomini la portano via.
Da quel momento la sorte di Ahoo è tutta da immaginare. Portata in commissariato, interrogata, trasferita in un carcere. E poi? Il copione è sempre lo stesso e i precedenti autorizzano le ipotesi più tragiche.
Mahsa Amini aveva 22 anni quando fu arrestata il 13 settembre 2022 dalla polizia religiosa per inosservanza della legge sull’obbligo del velo, in vigore dal 1981. Morì il 16 in ospedale dopo tre giorni di coma e ferite riconducibili a un pestaggio ed è diventata il faro del movimento di protesta Donna Vita Libertà, slogan gridato al suo funerale e poi dappertutto. La prima, non l’ultima.
Durante le proteste nel suo nome fu fermata la sedicenne Nika Shakaram, in seguito stuprata e uccisa. Il gesto di Ahoo va oltre e mette in agitazione Amnesty International, che ne chiede il rilascio immediato. Secondo una newsletter di studenti su Telehram la ragazza è stata trasferita in un ospedale psichiatrico su ordine dell’intelligence dei Guardiani della Rivoluzione.
L’università si affretta a precisare che ha “un grave disagio psicologico” e i media statali rintracciano il presunto marito, che conferma. Iran International – sito in inglese e persiano con sede a Londra - sposta però la prospettiva: l’opinione pubblica iraniana denuncia da tempo quella che viene definita una tattica del regime: delegittimare le manifestanti etichettandole come psicologicamente instabili. Sui social si moltiplicano gli omaggi al “coraggio eroico” della donna: mutandine a righe e reggiseno viola sono diventato il nuovo simbolo della lotta delle donne iraniane per la libertà.