Gaza, 2 marzo 2024 – “Gli incidenti come quello gravissimo dell’altro giorno e altri meno gravi avvenuti in precedenza sono la dimostrazione che la situazione della popolazione civile è disperata, perché non riesce ad accedere ai beni essenziali per sopravvivere. Ci sono mille storie. Penso a una giovane madre, che ha partorito in uno dei pochi ospedali aperti, ma che è stata dimessa tre ore dopo un cesareo e poi nel rifugio aveva solo l’acqua troppo salata che veniva dal desalinizzatore e che non poteva usare per preparare il latte in polvere per il proprio bambino che letteralmente stava morendo di fame. E non aveva neppure prodotti detergenti per medicare i punti del suo taglio cesareo. Noi abbiamo assistito lei e il bambino, che ora stanno bene, ma in altri casi non è stato così: a Gaza nascono 180 bambini al giorno e la fame e la mancanza di aiuti uccidono". Così da Gaza il portavoce di Unicef Palestina, il belga Jonathan Cricks.
Che cosa serve?
"Serve che l’aiuto umanitario, possa raggiungere la popolazione civile ovunque essa si trovi. Serve che più aiuti umanitari possano entrare nella Striscia. E per questo è assolutamente indispensabile una tregua. Oggi abbiamo 2,2 milioni di persone, praticamente l’intera popolazione di Gaza, che vive di aiuti umanitari: questo non è sostenibile con operazioni militari in corso".
Quanti camion di aiuti entrano nella Striscia e quanti ne servirebbero?
"Prima della guerra oggi giorno entravano 100 camion di aiuti umanitari internazionali e 400 camion di beni di consumo per i mercati e i negozi della Striscia. Adesso ne entrano tra ottanta e cento in totale. Numero che nelle ultime settimane si è ridotto anche per la complessa gestione logistica. Dobbiamo riaprire subito anche ai camion commerciali e tornare a breve almeno alla metà dei livelli pre guerra".
Dove la crisi è peggiore?
"Sicuramente nel nord, dove non un singolo convoglio di aiuti umanitari è riuscito a entrare negli ultimi sette giorni. Questo produce un forte impatto sulla disponibilità alimentare e la popolazione è letteralmente disperata. Tutto quello che è rimasto è essenzialmente farina e riso e limitate quantità di acqua in bottiglia e minime scorte di latte in polvere per i bambini. Per questo ogni convoglio che arriva è visto come una opportunità irrinunciabile, dalla quale trarre almeno un po’ di quello che serve per sopravvivere. Ecco perché ci sono casi di saccheggio e l’altro giorno si è determinata una strage".
Quanto grave è la crisi alimentare?
"Ben il 55% della popolazione palestinese della Striscia riesce ad avere solo un pasto al giorno e un pasto magro, per nulla diversificato, con zero proteine e pochissima o zero verdura e frutta".
Quale è la situazione dei minori?
"Ci sono due problemi: le vittime della guerra e la fame. Secondo il ministero della Salute di Gaza i due terzi dei 30mila morti sono donne e bambini. E poi c’è il problema dell’alimentazione. Unicef si è fatta promotrice di uno screening sui bambini, nel nord e nel sud della Striscia. Nel nord della Striscia, dove arrivano molti pochi aiuti, abbiamo riscontrato che più del 15% dei bambini, quindi quasi uno su sei, soffrivano di malnutrizione acuta. Manca il cibo. E gli effetti si vendono. La scorsa settimana ci è giunta dal ministero della Salute di Gaza la notizia di dieci bambini morti per malnutrizione e disidratazione".