Chico Forti torna in Italia dopo oltre vent'anni di carcere negli Stati Uniti. Ma chi è Chico Forti? Perché era stato condannato all'ergastolo? Cosa racconta la sua storia?
Per capire cosa è successo a Enrico ‘Chico’ Forti è necessario tornare indietro di 24 anni, al giugno del 2000 quando il producer televisivo ed ex campione di windsurf di Trento è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio, avvenuto nel 1998, di Dale Pike, un australiano partito da Ibiza per andare a Miami, incontrare Forti e parlare di un affare immobiliare. Era lunedì 16 febbraio 1998 quando il corpo di Pike è stato trovato accanto a tracce di sangue.
Negli Stati Uniti pochi americani avevano sentito il suo nome, fino a quando nel 2019 era stato trasmesso dalla Cbs un lungo reportage, nel programma '48 Hours', dedicato al caso. Il servizio sposava decisamente la linea dell'errore giudiziario, ma era costruito solo sulla base delle testimonianze a favore dell'italiano.
Tuttavia questa tesi non ha mai convinto, tanto che l'ergastolo per Chico Forti è stato confermato. Il fratello minore della vittima, Brad Pike, però, ha confessato la propria disillusione: "Non penso che conosceremo mai la verità".
Qualcuno aveva sparato alla testa di Dale Pike due volte con una calibro 22 e aveva lasciato il corpo, nudo, su un tratto isolato di spiaggia a Virginia Key, a pochi minuti di auto da Key Biscane. Secondo gli americani, il killer o il mandante era stato Forti, per motivi di interesse, perché temeva saltasse un affare. Secondo gli italiani e chi negli Stati Uniti difende l'italiano, il mandante sarebbe stato un truffatore tedesco, amico del padre della vittima.
La storia della Cbs partiva dal luogo del ritrovamento del cadavere. "Quello - spiegava Sean Crowley, un ex capitano della polizia di New York - è un posto frequentato dai windsurfer".
Perché Forti avrebbe ucciso Dale Pike? Nei giorni della firma per chiudere l'affare immobiliare il ragazzo era andato a Miami per incontrare Forti. Secondo l'accusa, voleva annullare tutto. Secondo la difesa, non era intenzionato a mettersi in mezzo. Il mistero comincia all'aeroporto di Miami. Forti doveva andare a prendere il suocero a Fort Lauderdale e temeva di fare tardi, ma aveva deciso lo stesso di andare a ricevere Dale per dargli un passaggio. I due erano entrati in auto insieme, ma a questo punto le storie divergono: secondo l'accusa, Forti lo ha portato in spiaggia e lo ha fatto uccidere, mentre la difesa sostiene che i due si siano lasciati per strada e l'imprenditore sia poi andato a prendere il suocero.
La sera del 16 febbraio è stato ritrovato il corpo di Dale, completamente nudo, in un boschetto vicino alla spiaggia di Virginia Key. L'autopsia aveva stabilito che l'omicidio era stato commesso la sera prima, tra le 18 e le 19.16. Accanto al corpo erano stati ritrovati pochi documenti, che sembravano messi lì per arrivare a una facile identificazione: il biglietto aereo per Miami, un ciondolo del Pikes Hotel, il passaporto e una scheda telefonica, sui cui, avrebbe scoperto la polizia, erano registrate tre telefonate a Forti. Da quel momento l'italiano è diventato l'unico sospettato.
L'imprenditore aveva spiegato agli investigatori di aver saputo della morte di Dale Pike solo il 18 febbraio e a New York, dove si sarebbe dovuto poi incontrare proprio con la vittima. Il cerchio attorno a lui si è stretto sin da subito. Gli investigatori, per tendergli una trappola, gli avevano detto che era morto anche il padre della vittima, Tony Pike.
Forti, entrato nel panico, a quel punto aveva raccontato di non aver mai incontrato la vittima. Poi, il giorno dopo, aveva ritrattato tutto. Secondo la difesa, l'italiano era stato interrogato a lungo e senza che gli fossero letti i "diritti Miranda", cioè il diritto ad avvalersi di un avvocato prima di rispondere alle domande. Non ci sono mai state prove per confermare una delle due versioni rilasciate riguardo le dichiarazioni rese da Forti, ma alla fine è stata presa per buona quella della polizia. L'italiano aveva mentito anche alla moglie, a cui aveva nascosto il fatto che fosse andato all'aeroporto a prendere Dale. Dalla somma di queste incongruenze sono quindi poi nati il verdetto di condanna e la sentenza dell'ergastolo.
Una sentenza sulla quale ha pesato anche un errore: non aver chiesto un'analisi di un patologo legale sul corpo della vittima, da parte della difesa. Quello scelto dall'accusa aveva indicato l'ora della morte tra le 18 e le 19.16, il tempo in cui l'australiano era rimasto con Forti.
Si è aggiunto un altro dettaglio: alle 19.16 Forti aveva chiamato la moglie, quando a quell'ora sarebbe dovuto andare a nord a prendere il suocero, ma una cella telefonica nell'area ha indicato che Forti stava andando in direzione opposta. I procuratori avevano concluso che l'italiano stesse allontanandosi dal luogo del delitto per crearsi un alibi.