Roma, 1 novembre 2023 – Claudio Vercelli, storico dell’ebraismo (ultimo libro “Israele. Storia dello Stato“, Giuntina 2023), che impressione le fa vedere le stelle di David sui muri di Parigi?
"Sono scene che umanamente dovrebbero far rabbrividire qualunque persona consapevole, anche perché colpendo gli ebrei si colpiscono le società in quanto tali e la loro coesione. Poi c’è l’aspetto storico-politico. L’antisemitismo si manifesta in maniera carsica, emerge quando sale la tensione in Medio Oriente, come in questi giorni nello scontro fra Israele e Hamas, ma il punto è che molto spesso l’antisemitismo, magari mascherato come antisionismo o in altri modi, non ha come obiettivo reale la tutela di qualcosa o di qualcuno, in questo caso la collettività palestinese, ma semmai la difesa nei confronti degli ebrei, visti come una sorta di centrale di complotti. Questo è il nucleo dell’antisemitismo contemporaneo".
Qual è l’origine di questo nucleo?
"È un antisemitismo diverso dall’antigiudaismo storico. Nasce con l’età contemporanea, l’età delle rivoluzioni, col mutamento radicale che porta sconvolgimenti sociali fortissimi e quindi la necessità, da parte di intere collettività, di trovare una causa, una ragione e anche una colpa di quanto sta avvenendo. Gli ebrei, nell’antisemitismo contemporaneo, sono da un lato individui turpi, indegni, un gruppo separato, in qualche modo pericoloso; dall’altro lato c’è il convincimento che gli ebrei abbiano un grandissimo potere, nella finanza come nell’informazione, e che siano i manovratori di grandi trasformazioni che sconvolgono il mondo".
Perché parla di antisemitismo mascherato da antisionismo? Molti si dichiarano antisionisti ma avversi all’antisemitismo.
"È un’obiezione che ha un senso e una ragion d’essere, specie in chiave storica. Anche dentro le comunità ebraiche si discusse a lungo sull’opportunità di puntare sulla via nazionale per risolvere i propri problemi storici e ci furono forti posizioni antisioniste. Ma oggi i fatti hanno superato questo tipo di discussione. Israele c’è. Quindi mi sfugge il senso di dichiararsi oggi antisionisti, a meno che non si reputi il sionismo una malattia dello spirito, una sorta di patologia politica. Israele è contestabile in molti suoi passaggi, per certi suoi governi, perché non ha sciolto nodi fondamentali, e su questo c’è molto da dire. Ma se tutto ciò lo diciamo solo perché Israele non ha ragione di esistere, allora stiamo slittando non solo verso una storia ipotetica e fantasiosa, ma anche verso lidi che possono essere pericolosi".
Come ci si difende dal ritorno dell’antisemitismo?
"L’antisemitismo contemporaneo ha una grande capacità di misurarsi con tutti gli strumenti della comunicazione, quindi sul piano dell’informazione e della didattica l’impegno di tutti dev’essere massimo. Ma io credo che il tasso di antisemitismo, chiamiamolo così, sia proporzionato ai momenti di crisi delle società. Quando le società vivono una crisi di coesione sociale, quando i legami sociali si fanno problematici e ci si sente con le spalle al muro e magari fa comodo ad alcuni cercare un colpevole, l’antisemitismo, purtroppo, è un valido strumento a disposizione".
Questo implica che l’antisemitismo così inteso sia un elemento consolidato nelle nostre società, un continuo “ritorno a casa”.
"Sì, è così. E negli ultimi anni questo fenomeno è andato crescendo. Pensiamo a certi atteggiamenti anti vaccinisti o alle varie circostanze nelle quali si suggerisce l’idea che il mondo sia governato da centrali occulte. L’antisemitismo, per questo tipo di credenze, può essere un buon collante".