Giovedì 14 Novembre 2024
ROBERTO BRUNELLI
Esteri

Gli spari a Unifil in Libano, la giurista: “Israele danneggia il suo futuro. Rischia di restare marchiato”

Arbia (ex procuratrice dell’Aja): strategia irrazionale, il peso ricadrà sulle prossime generazioni. “Violato il diritto internazionale. Anche l’Italia da sola può indagare e processare Tel Aviv”

“Screditare in questo modo un organismo internazionale, quasi deriderlo, apre uno scenario inquietante e rappresenta un’ipoteca pesante anche nei confronti delle generazioni future di israeliane. Se c’è una strategia, sicuramente non è compatibile con il diritto nel contesto delle Nazioni Unite”. La giurista Silvana Arbia, già procuratrice del Tribunale internazionale del Ruanda ed ex cancelliere della Corte penale internazionale dell’Aja (Cpi), non ha dubbi: gli attacchi di Israele contro il contingente Unifil rappresentano “una grave violazione del diritto umanitario internazionale”, ed un eventuale ritiro dello stesso equivarrebbe a “una disfatta”.

Le basi Unifil in Libano sono state attaccate dall'esercito israeliano
Le basi Unifil in Libano sono state attaccate dall'esercito israeliano

Gli attacchi israeliani contro Unifil aprono infiniti interrogativi: al di là degli aspetti militari, politicamente che senso ha colpire una forza d’interposizione delle Nazioni Unite?

“Siamo nell’irrazionale. È un momento estremamente pericoloso: Israele mostra di sentirsi al di sopra delle leggi, di non considerare più vincolante l’ordine giuridico internazionale. Colpire una missione come questa – stabilita dal Consiglio di sicurezza Onu, di peacekeeping, con operatori considerati ai fini della protezione come civili, ossia non combattenti – è, sì, una grave violazione del diritto internazionale. Quel che vediamo è una strategia nichilista, che non sappiamo dove potrà portare”.

Crosetto parla di “crimine di guerra”. Ha ragione? A chi tocca accertarlo?

“Che qui si sia in presenza di un conflitto armato è fuori dubbio, e la norma che vieta questo tipo di attacchi è molto chiara, difficilmente contestabile, dato che è stata colpita una forza d’interposizione non belligerante. Sono i singoli Stati che possono perseguire i crimini di guerra: per esempio uno Stato che abbia delle vittime in un siffatto attacco – come in questo caso l’Italia – potrebbe avviare delle indagini e procedere ad un processo”.

Nella sua esperienza ci sono dei precedenti?

“Sì, nell’aprile 1994 in Ruanda dieci caschi blu belgi furono barbaramente eliminati dagli estremisti hutu: un precedente chiaro, in quanto si trattò appunto di un attacco contro una missione di peacekeeping. In quel caso fu il Belgio, un paese che aveva già predisposto una giurisdizione in questo senso, ad avviare dei processi per crimini di rilevanza internazionale”.

Il governo italiano dice che non prende ordini da Netanyahu. A chi compete la decisione sull’eventuale ritiro di Unifil?

“Al Consiglio di sicurezza, ma anche i singoli Stati potrebbero decidere di ritirare le proprie truppe. Ma ritirarsi significa arrendersi ad una legge di violenza. Bisogna trovare una soluzione diversa. Si può aprire un’indagine imparziale, ma non si possono lasciare impuniti questi crimini. E poi c’è il ruolo della diplomazia, ma anche qui è giunto il momento di voltare pagina, dato che finora non si è visto nessuno risultato che sia riuscito a scoraggiare Israele”.

Lei parlava di un’ipoteca anche per le nuove generazioni di israeliani.

“Sì, questi attacchi rappresentano un danno terribile per il futuro di Israele oltreché per i paesi confinanti, perché è uno Stato che rischia di essere marchiato come illegale”.