Martedì 12 Novembre 2024
ALDO BAQUIS
Esteri

Sopravvissuta alla furia di Hamas: “Mai avuta tanta paura in vita mia”

Adele Raemer, insegnante e nonna, racconta l’incubo: i terroristi hanno provato a forzare la finestra di casa. “Com’è possibile che il 7 ottobre siamo stati abbandonati così a lungo? Va ricostruito il senso di sicurezza”

Tel Aviv, 8 ottobre 2024 – Israele, 7 ottobre 2023, kibbutz Nirim, un chilometro dalla striscia di Gaza. È una delle comunità attaccate dalla Nukhba, la unità di élite di Hamas. Nella casa di Adele Raemer, insegnante di inglese, giovane nonna, fautrice del dialogo con i palestinesi in generale e con vicini di Gaza in particolare, squilla il telefono. È la prima di una serie di telefonate raccolte in quelle ore drammatiche dalla redazione dell’Ansa a Tel Aviv.

Adele Raemer, sopravvissuta al 7 ottobre
Adele Raemer, sopravvissuta al 7 ottobre

Prima telefonata: “Ci siamo svegliati alle 6.30 con le esplosioni dei razzi. Poi la nostra rete interna di comunicazione ci ha avvertito: ‘C’è una infiltrazione di terroristi’. Mio figlio ed io siamo barricati nella stanza protetta, il ‘Mamad’. Abbiamo con noi qualche bottiglia d’acqua”.

Seconda telefonata, ore 13: “I terroristi stanno cercando di penetrare in casa. Stanno provando a forzare la finestra della facciata anteriore. Non ho mai avuto tanta paura in vita mia. Da Gaza tre miei conoscenti palestinesi mi hanno detto di farmi forza”.

Terza telefonata: “Sono passate molte ore dall’attacco, e ancora non si vedono i nostri soldati. Corre voce che i ‘Nukhba’ abbiano indossato divise israeliane per ingannarci. Mia figlia abita anche lei nel kibbutz: sono ancora senza sue notizie”.

Ore 17. Unità dell’esercito riescono a recuperare il controllo di Nirim. Adele viene fatta uscire dal ‘Mamad’. I soldati adesso setacciano i vialetti, le case, in cerca dei sopravvissuti. Sul terreno, i corpi delle vittime e dei terroristi. Attorno case ed automobili in fiamme, edifici inceneriti. Un inferno.

Quarta telefonata, ore 21. “Le perlustrazioni proseguono. Ora si ispezionano ora anche le soffitte, dove potrebbero esserci ancora terroristi”. I membri del kibbutz sono radunati nel circolo sociale. Passeranno la notte negli asili nido. L’indomani, dopo aver prelevato il possibile, saranno trasportati in blocco ad Eilat.

“Da allora tutto è cambiato” dice adesso Adele Raemer, raggiunta al telefono nella sua nuova abitazione di Beer Sheva, dove si sono stabiliti la maggior parte dei membri di Nirim. In questi mesi Adele ha compiuto cinque missioni all’estero (negli Usa e in Germania) per raccogliere fondi per i kibbutzim colpiti.

Come ricorderete a Nirim il primo anniversario?

“Ci sarà una cerimonia nel prato centrale, col capo dello Stato Isaac Herzog. Poi andremo al cimitero a ricordare gli uccisi. Ancora non siamo tornati a vivere a Nirim. Un intero rione, quello dei giovani, è stato devastato”.

Cosa vi attendete dalla autorità?

“Innanzi tutto occorre ricostruire il senso di sicurezza. L’esercito ancora non ci ha dato spiegazioni. Come è possibile che siamo stati abbandonati così a lungo, e come potremmo essere sicuri che ciò non si ripeterebbe in futuro?”.

Cosa pensa del futuro di Gaza?

“In passato credevo che anche loro avessero i nostri stessi desideri di base: sfamare le famiglie, crescere i bambini. Ma Hamas li ha indottrinati all’odio e alla morte. A Gaza ci sono ancora persone buone, ma forse sono adesso troppo poche”.

È favorevole ad un accordo sugli ostaggi?

“Tre dei nostri compagni sono tornati vivi da Gaza a novembre e altri due sono tornati ad agosto, morti. Per il bene di Israele dobbiamo fare di tutto per recuperare gli ostaggi, anche se Hamas è nella confusione e Sinwar forse non vuole affatto. Ma noi come potremmo mai tornare a vivere ai bordi del confine senza la certezza assoluta che Israele si impegna sempre e comunque a recuperare i propri cittadini?”.