Rispondere all’attacco costato la vita a tre soldati americani e il ferimento di altri 34 ma senza innalzare la tensione della regione accendendo un altro focolaio di guerra che, se coinvolgesse Teheran, infiammerebbe il Medio Oriente e potrebbe avere effetti economici tali da mettere a rischio l’economia globale, e quindi la sua rielezione. È questo il dilemma di Joe Biden. “L’America risponderà, nel momento e nel modo che sceglieremo”, ha promesso Biden. E la risposta “sarà molto consequenziale”, ha assicurato il portavoce del consiglio per la Sicurezza nazionale John Kirby, spiegando che “il presidente” sta valutando 2diverse opzioni” ma sottolineando che “non cerchiamo una guerra con l’Iran né un allargamento del conflitto”. Il raid è stato rivendicato dal gruppo Resistenza islamica in Iraq (coalizione di milizie filo-iraniane), che ha aggiunto che anche base Shaddadi, una delle basi militari Usa in Siria, è stata presa ieri di mira da razzi sparati da forze filo-iraniane. In serata il comando Usa ha confermato: lancio multiplo, zero danni o feriti. Teheran da parte sua nega di essere dietro agli attacchi, ma ieri la portavoce del Pentagono, Sabrina Singh, ha detto che “l’attacco in Giordania contro una postazione Usa ha le impronte di Hezbollah”, la milizia libanese sostenuta dall’Iran e ha aggiunto: “Sappiamo che l’Iran finanzia questi gruppi che stanno attaccando le nostre truppe”. “Riteniamo l’Iran responsabile– ha avvertito – perché finanzia, arma, addestra ed equipaggia i gruppi che colpiscono le truppe Usa in Medio Oriente. Ma non cerchiamo una guerra con l’Iran e non pensiamo che l’Iran cerchi una guerra”. Il problema sarà colpire i proxy di Teheran, o elementi della forza iraniana al Quods, senza arrivare allo scontro diretto con l’Iran.
Roma, 30 gennaio 2024 – "La battaglia per le presidenziali americane sarà sull’economia, sull’immigrazione dal Messico, su temi interni, non sulla morte di qualche soldato americano di base in Giordania, Iraq o Siria. E ancor meno sulla guerra a Gaza o in Ucraina, dove non c’è un diretto coinvolgimento americano. Se un sanguinoso attacco a una base americana accadesse il 30 ottobre, forse sarebbe strumentalizzato ed entrerebbe in campagna elettorale. Ma se accade oggi può avere effetto nei campus universitari e nel promuovere manifestazioni in qualche città, ma che motivi gli elettori ad andare a votare per questo o quel candidato, direi proprio di no". Così il professor Gregory Alegi, docente di storia politica degli Stati Uniti alla Luiss di Roma.
E nel frattempo gli Stati Uniti risponderanno militarmente all’ennesimo attacco delle milizie filo-iraniane come nel recente passato e come contro gli Houthy, ma non ci sarà nessun allargamento del conflitto ?
"È quello che l’amministrazione Biden sta facendo da tempo: risposta militare puntuale sì, no ad un allargamento della crisi".
In caso di vittoria di Trump prevede una America più isolazionista?
"È quello che promette Trump. Ma sono slogan da campagna elettorale".
Magari lo fa davvero.
"È molto difficile capire come gli Stati Uniti possano isolarsi e restare una potenza globale, tanto meno isolarsi e tornare ad essere, come dice il popolare slogan di Trump, “great again“, di nuovo grandi. Certo, se si accende una crisi in un posto remoto e fuori dagli interessi degli Stati Uniti, l’America di Trump tenderà a tenersene fuori. Ma c’è una grossa differenza tra un interventismo a tutti costi e il disinteresse per il mondo. Per una potenza globale che vuole continuare ad esserlo è difficile immaginare l’assenza in teatri di crisi che hanno una alta valenza strategica, come il Medio Oriente, l’Estremo Oriente, la stessa Ucraina, anche se qui l’amicizia con Putin potrà suggerire a Trump un coinvolgimento meno pesante a fianco di Kiev. Ma se qualcuno al Cremlino prendesse sul serio quel che ha detto un politico russo qualche giorno fa, cioè “rimettere i missili a Cuba“, è evidente che Trump non potrebbe accettare una minaccia simile. Con una presidenza Trump cambierebbe l’agenda e nella sua c’è innanzitutto il confronto strategico con la Cina, che lui ha sempre visto come il maggior competitor dell’America, e con l’Iran".
Anche l’addio alla Nato verrà solo minacciato per far aumentare agli europei gli stanziamenti per la difesa?
"L’uscita dell’America dalla Nato, quindi la fine della Nato, non mi pare proprio realistico. Non solo. Se Trump lo facesse obbligherebbe l’Europa a farsi carico della propria sicurezza e se l’Europa davvero decidesse di organizzarsi dotandosi di una difesa e una politica estera comuni, se parlasse con una voce sola, si trasformerebbe in una potenza globale non solo economica ma anche politica. Il che non è nell’interesse americano. Quindi un eventuale disimpegno americano dalla Nato creerebbe sicuramente molti problemi agli europei, ma potenzialmente potrebbe trasformare l’Europa in un gigante con una volontà politica non necessariamente allineata a quella degli Stati Uniti".
Quindi, prevarrà la prudenza?
“Make America great again“ è un grande slogan, ma il problema è come lo si declina e quante mosse in avanti si sono calcolate nella partita a scacchi globale. Dire di no è facile, ma magari domani si scopre che questo ha innescato degli effetti che non eran stati calcolati, come, guardando al recente passato della storia americana, far crescere i talebani per dar fastidio ai russi per poi scoprire che l’Afghanistan si era trasformato in un santuario del radicalismo islamista".
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