Roma, 7 dicembre 2024 – Nel tutti contro tutti siriano, adesso Erdogan cala il peso da 90. Dopo giorni in cui il presidente turco era rimasto in silenzio, attendendo gli esiti dell’offensiva dei ribelli contro il regime del presidente Bashar al-Assad, ieri è sceso in campo, facendo capire che la fine del presidente di Damasco potrebbe essere vicina. “Abbiamo avuto una chiamata con Assad – ha dichiarato Erdogan –. Gli abbiamo detto: determiniamo insieme il futuro della Siria. Purtroppo, non abbiamo ricevuto una risposta positiva. Ora le forze dell’opposizione hanno preso il controllo di diverse città siriane e la Turchia segue da vicino gli sviluppi. Idlib, Hama, Homs e infine Damasco, questa marcia dell’opposizione continuerà. Speriamo che proceda senza intoppi e senza incidenti”. Se non è un de profundis per Bashar al-Assad, poco ci manca. Nella serata di ieri si sono diffusi rumors secondo i quali il presidente avrebbe lasciato la Siria con tutta la sua famiglia. Che questo sia vero o meno, le parole di Erdogan sono un messaggio per Putin, con cui avrà già conferito nei giorni scorsi, così come ha fatto con l’Iran.
Molti dei gruppi che compongono la cosiddetta opposizione siriana sono di matrice jihadista e sono stati addestrati e finanziati dalla Turchia per anni. Una loro definitiva affermazione significa che Ankara avrebbe molta più voce in capitolo nella spartizione del Paese. Tutto sta a vedere quanto Erdogan voglia alzare la posta. La Mezzaluna, sulla carta, ha rinunciato a una sostituzione del regime di Damasco. Ma la marcia dei ribelli è stata inarrestabile e le condizioni sono molto diverse da quelle di oltre 13 anni fa. Inoltre, le sue dichiarazioni fanno intuire che il tempo delle trattative è finito.
Di certo il destino di Assad dipende dalla Russia, che è in difficoltà, stremata dalla guerra in Ucraina, che doveva durare tre giorni e che sta andando avanti tre anni. Vladimir Putin non può assolutamente permettersi di farsi vedere debole in questo momento del conflitto e deve mantenere il controllo della base che la flotta russa ha a Latakia. Per fare questo, dovrà scendere a patti con Erdogan e i ribelli siriani. Ammesso che Assad cada e ammesso che la cosa si chiuda qui. I curdi, sostenuti dagli Stati Uniti, stanno combattendo nel nord del Paese, cercando di ampliare la loro zona di influenza a spese del regime, sapendo che il primo obiettivo del presidente di Ankara è annientare loro. Per questo, stanno cercando di dare il loro contributo nella speranza di potersi sedere al tavolo dei negoziati per mantenere il controllo sulla loro regione.
C’è anche Israele che sta osservando gli sviluppi della situazione. Tel Aviv teme che le armi chimiche del regime possano cadere nelle mani dei ribelli e che, a differenza di Assad, il quale alla fine aveva un ruolo di garanzia, possano utilizzarle contro lo Stato ebraico. Per questo l’aviazione israeliana sta compiendo raid per cercare di distruggere i depositi, prima che cadano in mani sbagliate.
L’Iran rappresenta il più grande sconfitto di questa offensiva, che ha dimostrato come l’apparato di Teheran e dei suoi proxy sia ormai al collasso. L’affermazione dei ribelli e della Turchia cambia non solo la spartizione della Siria, che rappresentava il maggiore alleato della Repubblica Islamica, ma anche i rapporti di forza nei confronti di Ankara, che se prima faceva la ‘sorella minore’ (per convenienza) di Mosca e Teheran, adesso vanta un credito che potrebbe utilizzare in altre regioni strategiche, in testa il Caucaso. Si combatte, con tanti attori in campo e l’intero Medio Oriente che sta per cambiare volto, un’altra volta.