Roma, 1° dicembre 2024 – Una Siria che, dal 2011, ha iniziato ad avere una dipendenza sempre più forte da Teheran e che adesso deve trovare altri punti di appoggio nel mondo arabo. Un presidente, Bashar al-Assad, che vive un altro momento di crisi. Maria Luisa Fantappiè, responsabile del Programma Mediterraneo, Medio Oriente e Africa dell’Istituto Affari internazionali, spiega perché la situazione è diversa rispetto a quella di oltre 14 anni fa.
Fantappiè, in un Medio Oriente in fiamme sembra essersi riaperto il fronte siriano. Aleppo è caduta con una facilità che ha sorpreso molti. Cosa significano gli eventi degli ultimi giorni?
“ Il conflitto in Siria era stato definito congelato poiché le frontiere tra zone controllate dal regime siriano e fazioni rivali sono rimaste immutate per un certo numero di anni. Ma quelle frontiere sono sempre state fragili e non definite. Il cambiamento inaspettato e l’avanzata delle forze di opposizione siriana in zone controllate dal regime di Assad nella zona di Aleppo, è dovuto all’indebolimento militare e logistico dell’asse della resistenza al quale Damasco aveva affidato parte della sua sicurezza. La necessità di concentrare le sue risorse militari in Libano nella guerra in corso contro Israele potrebbe aver indebolito il fronte del regime ad Aleppo fornendo ad alcuni gruppi che fanno capo all’opposizione siriana l’opportunità per premere l’acceleratore e avanzare”.
Ci sono nazioni, come la Turchia, che hanno un ruolo in questo contesto. A cosa punta Ankara, secondo lei?
“In questo momento la Turchia, che ha sostenuto per anni i movimenti di opposizione armata nel nord-ovest siriano, ha interesse a negoziare con Bashar al-Assad da una posizione di forza. Un’avanzata militare di questi gruppi fornisce all’opposizione, e quindi ad Ankara, una posizione più forte al tavolo non solo nel decidere il futuro della governance della regione di Idlib e Aleppo, ma anche per avere una carta più per trattare sul futuro delle zone curde siriane, fino a oggi sotto il controllo dell’ala siriana del Pkk, avversario storico di Ankara. C’è quindi una convergenza di interessi locali e regionali ad aver sospinto questa avanzata”.
Cosa può fare ora il presidente Assad?
“La guerra tra Israele e Iran, diretta o per procura, sta ridefinendo gli equilibri regionali. Con un Iran debole e un potenziale riavvicinamento della Siria al mondo arabo, Assad potrebbe valutare se gli convenga mantenere questa dipendenza da Hezbollah o se invece sia il momento di guardare altrove”.
Dove, per esempio?
“Non dimentichiamo che la Siria di Assad è stata riammesso nella Lega Araba e che ha riallacciato rapporti con Paesi, cosiddetti sunniti, come per esempio la Giordania. Si tratta comunque di una decisione che sarà estremamente guidata da quello che Mosca gli chiederà di fare”.
La Russia è ancora così importante, anche senza l’Iran in Siria?
“Certamente. È una Russia che guarda da super-potenza verso le dinamiche del Medio Oriente. Per Mosca è fondamentale che Bashar Al-Assad si mantenga in una posizione solida con l’Iran o con altri alleati del mondo arabo”.
Molti però lo danno praticamente per spacciato, è d’accordo?
“No. Quello che è successo nelle scorse 48 ore è importante perché c’è stato un nuovo posizionamento del fronte dell’opposizione. Ma ora la Turchia è lontana dalle posizioni del 2011”.