Afrin, 20 febbraio 2018 - Si avvicina la resa dei conti per la roccaforte curda di Afrin, nel Nord della Siria, che da più di un mese è assediata dalle forze turche del presidente Recep Tayyip Erdogan. Secondo quanto riportato dalla tv di Stato siriana e confermato dall'Osservatorio siriano per i diritti umani, l'artiglieria turca sta bombardando l'area vicino al valico di Ziyara, a sud-est di Afrin. Intanto i caccia dell'aviazione di Ankara hanno bombardato l'arteria che conduce alla città, sulla quale transitano i mezzi delle milizie siriane fedeli al governo di Assad, giunte per rispondere all'offensiva turca. L'Osservatorio siriano ha riferito anche di centinaia di combattenti di Damasco penetrati nell'enclave delle milizie curde del Ypg, attualmente sostenute da Washington ma considerate dalla Turchia un'organizzazione terroristica e propaggine del Pkk (il partito dei lavoratori del Kurdistan, dichiarato fuorilegge dal governo di Ankara nel 1984, ndr).
Tuttavia i media turchi hanno fatto sapere che i miliziani filo-Assad si sono ritirati a 10 chilometri di distanza dopo i colpi di "avvertimento" sparati dall'artiglieria turca. Notizia poi confermata dallo stesso Erdogan, il quale ha avvertoto che la Turchia non consentirà altri "passi sbagliati di questo tipo" in futuro e, chi li farà, "pagherà un prezzo alto". Erdogan ha anche detto che il tentativo di ingresso dei filo-Assad ad Afrin è un "capitolo chiuso, per adesso".
IL RISCHIO DI UNA NUOVA GUERRA - Secondo i dati dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, l'offensiva turca ha gia fatto 436 vittime militari (tra soldati turchi, miliziani siriani e combattenti curdi) e 94 civili, promettendo di mettere ulteriormente sotto pressione i già tesi rapporti con gli alleati americani, a loro volta alleati dei curdi contro l'Isis, ma soprattutto con la Russia di Vladimir Putin, sostenitore numero uno del regime di Assad. Da Mosca le critiche all'operazione 'ramoscello d'ulivo' (questo il nome dell'offensiva turca) sono arrivate forti e puntuali con il ministero degli Esteri, Serghei Lavrov, che ha dichiarato: "Abbiamo ripetutamente affermato che sosteniamo pienamente le legittime aspirazioni del popolo curdo". "Riteniamo sbagliato - ha aggiunto riferendosi alla situazione ad Afrin - che qualcuno approfitti delle aspirazioni del popolo curdo per i suoi giochi geopolitici che non hanno nulla a che fare con gli interessi dei curdi e della sicurezza regionale".
L'EMERGENZA UMANITARIA A GHOUTA - E, mentre ci si prepara all'invasione di Afrin, il dramma più profondo si consuma nel Ghouta orientale, ad est di Damasco. Qui dal 2013 le forze fedeli ad Assad assediano i ribelli antigovernativi. Nella città sono intrappolati quasi mezzo milione di civili, senza cibo, acqua o accesso a cure mediche. Da domenica un'incessante pioggia di bombe, scatenata dal regime siriano con l'appoggio russo, ha causato almeno 250 morti, di cui 50 bambini. Resta quindi inascoltato l'appello delle Nazioni Unite affinché cessi quella che è stata definita "una crisi umanitaria fuori controllo". Tale è lo sgomento di questi giorni, che l'Unicef ha sentito il bisogno di sottolineare che, per tanto orrore con un comunicato stampa 'in bianco: "Nessuna parola renderà loro giustizia".
"Nessuna parola renderà giustizia ai bambini uccisi, le loro madri, i padri e i loro cari", ha detto Geert Cappelaere, direttore dell'agenzia Onu per l'area mediorientale. E nel post scriptum del comunicato un'aggiunta: "Non abbiamo più parole per descrivere la sofferenza dei bambini e la nostra indignazione. Coloro che stanno infliggendo queste sofferenze hanno ancora parole per giustificare i loro atti barbarici?". Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia ha fatto sapere che quello che si sta consumando nel Ghouta "è un eccidio peggiore di quello di Aleppo". "È una vera emergenza umanitaria" - continua Iacomini - "Solo negli ultimi mesi la malnutrizione è aumentata di cinque volte, centinaia di bambini sono gravemente malati e hanno bisogno di lasciare la città per essere curati".