di Marta Ottaviani
ROMA
La Siria torna nuovamente al centro delle cronache internazionali con il riaccendersi di una guerra civile che molti temono possa assumere dimensioni persino peggiore di quella che ha dilaniato il Paese per oltre 10 anni. Anche perchè sullo sfondo continuano ad agire da una parte la Turchia, da una parte dei ribelli, dall’altra Russia e Iran, che sostengono il governo.
Ieri gruppi jihadisti e gruppi armati contrari al presidente Bashar al-Assad hanno marciato verso il centro di Aleppo, la seconda città più importante dopo Damasco, nel Nord-Est del Paese, ingaggiando violenti combattimenti con l’esercito lealista. I social hanno trasmesso video che ritraevano i ribelli mentre entravano nella parte più antica della città, inneggiando alla vittoria. Nel pomeriggio si sono diffuse voci circa l’occupazione di altri quartieri. Damasco corre ai ripari e smentisce che i ribelli siano usciti vincitori nel confronto con le forze armate. Lo Stato Maggiore dichiara di aver respinto la grande offensiva portata avanti dai gruppi armati e jihadisti, mentre l’aeronautica siriana e quella russa hanno bombardato massicciamente la zona di Idlib, città sotto il controllo turco che si ritiene essere un vero e proprio quartier generale di questi gruppi.
L’offensiva dei ribelli, cominciata mercoledì scorso, ha già mietuto quasi 300 vittime. Ieri, avrebbero perso la vita almeno 25 persone, fra cui 24 civili. I ribelli non ci sono andati leggeri. Secondo l’esercito siriano, per l’attacco di Aleppo sono stati utilizzati armi pesanti e droni. Secondo l’Onu, gli sfollati sono già 15mila e gli osservatori internazionali temono che nelle prossime ore potrebbe iniziare una battaglia per la conquista della città di Saraqeb. Se questa dovesse cadere nelle mani dei ribelli, allora questi ultimi potrebbero controllare l’autostrada che da Aleppo porta a Damasco.
La Siria, dove la guerra civile non si è mai davvero sopita, rischia di tornare in uno stato di tensione permanente, proprio adesso che il Paese stava faticosamente mettendo le basi per il proprio futuro e il Presidente Assad era un po’ meno isolato dalla comunità internazionale. La Russia è preoccupata e ha chiesto che nella città simbolo della guerra civile la situazione venga riportata sotto controllo. Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araqchi, ha ribadito il sostegno di Teheran al governo siriano e al presidente Bashar al-Assad, specificando che i due Paesi sono uniti "nella lotta al terrorismo e per mantenere la stabilità nella regione".
Certo, per tutti e tre i Paesi, la situazione che si è venuta a creare è un grosso problema. Mosca e Teheran sono già impegnate nel conflitto contro l’Ucraina e in quello in Medio Oriente. Il Cremlino ha problemi di stabilità economica e di soldati arruolabili e generali a disposizione. L’unico modo in cui potrebbe aiutare Assad è potenziando la sua aviazione, ma difficilmente potrà inviare delle truppe. L’Iran sta aiutando, e parecchio, la Russia con la fornitura di droni e ha tutte le risorse di intelligence drenate dalla situazione in Libano. È chiaro che chi ha colpito lo ha fatto sfruttando il momento di difficoltà di questi due importanti attori, alleati di Assad, sapendo che entrambi hanno ben altro a cui pensare.
D’altra parte, dietro l’offensiva dei ribelli potrebbe esserci proprio la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, da sempre contraria alla permanenza di Assad al potere. Ankara ha vissuto con difficoltà la convivenza forzata con Mosca e Teheran sul tema. Proprio il numero uno di Ankara è stato più volte accusato di finanziare gruppi jihadisti e addestrare ribelli in funzione anti-Damasco. Insomma, in Siria rischia di andare in scena un’altra guerra per procura.