Washington, 5 novembre 2020 - "Andremo alla Corte Suprema", ha minacciato ieri mattina Donald Trump. "Vogliamo che si fermino tutte le votazioni", ha rincarato. Due posizioni che hanno sollevato molte critiche, in particolare da parte dei costituzionalisti, come Justin Levitt, professore alla Loyola Law School di Los Angeles, secondo cui "non c’è alcuna base giuridica reale dietro a queste affermazioni". L’azione legale, infatti, può arrivare alla Corte Suprema solo dopo che i tribunali statali o federali si sono pronunciati e non ci sono precedenti di un’interruzione generalizzata del conteggio delle schede elettorali o anche di un’interruzione in uno Stato specifico in questa fase iniziale.
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Nel caso delle elezioni del 2000, dove i candidati erano George W. Bush contro Al Gore, la Corte Suprema ha interrotto un secondo riconteggio dei voti – non il conteggio iniziale – e ha emesso la sua controversa decisione solo a metà dicembre, settimane dopo il giorno delle elezioni, partendo dalla sentenza di un tribunale della Florida. I commenti del presidente, però, hanno gettato un’ombra sul processo in corso, anche negli Stati in cui le schede elettorali inviate per posta possono arrivare legalmente dopo il 3 novembre. In alcuni Stati che stanno ancora contando i voti, come la Pennsylvania, i legislatori repubblicani hanno imposto la regola di incominciare a contare le schede elettorali spedite per posta solo dopo il giorno delle elezioni, lasciando in questo modo un arretrato di una notevole quantità di schede di elettori prevalentemente democratici. Se il voto in Pennsylvania fosse determinante per l’esito delle presidenziali e se proprio quelle schede arretrate fossero determinanti per far virare lo Stato di Filadelfia da repubblicano a democratico – due grandi se – la Corte Suprema potrebbe decidere d’intervenire. Questo regolamento elettorale, infatti, è già stato trattato dalla Corte Suprema della Pennsylvania, che ha imposto tre giorni di attesa dopo il 3 novembre prima del conteggio finale, per consentire ai votanti per posta di imbucare la propria scheda fino al giorno delle elezioni. Il mese scorso la Corte Suprema ha rifiutato di avviare un caso sulla Pennsylvania, ma i giudici hanno indicato che potrebbero riprendere in mano la questione, se necessario. Sul caso la Corte si è bloccata il 19 ottobre con un pareggio, 4 contro 4, prima dell’arrivo della nuova giudice repubblicana, Amy Coney Barrett, nominata da Trump il 27 ottobre. I giudici Clarence Thomas, Samuel Alito, Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh hanno detto che avrebbero concesso una sospensione per bloccare la decisione della Corte Suprema della Pennsylvania.
Dall’altra parte c’erano il presidente della Corte John Roberts e l’ala liberale: i giudici Stephen Breyer, Sonia Sotomayor ed Elena Kagan. In una dichiarazione rilasciata subito dopo, Alito, Thomas e Gorsuch hanno criticato il trattamento della questione da parte della Corte, sostenendo di aver "creato inutilmente condizioni che potrebbero portare a gravi problemi postelettorali", indicando che potrebbe essere necessario tornarci su. Così gli scrutatori della Pennsylvania hanno avuto l’ordine di separare le schede arrivate per posta dopo le 20 del 3 novembre e fino alle 17 del 6 novembre. Questo consentirebbe alla Corte Suprema, in caso di parità, di determinare se questi voti devono essere conteggiati. Con la nomina di Barrett, di stretta osservanza repubblicana, è già chiaro da quale parte penderebbe l’ago della bilancia.