ROMA
L’effetto Trump sullo scacchiere internazionale corre sul filo del telefono e fa tappa in Ucraina. Qui, a quasi tre anni dall’invasione russa, la pace si avvicina. A dirlo non è solo la retorica del presidente in pectore degli Stati Uniti, ma anche la consapevolezza di Volodymyr Zelensky, nonostante le condizioni per il leader ucraino e il suo popolo si mostrino tutt’altro che favorevoli. In quest’ottica l’inedita telefonata di ieri del cancelliere tedesco, Olaf Scholz, al capo del Cremlino, Vladimir Putin, a quasi due anni dall’ultima chiamata sulla direttrice Berlino-Mosca, non ha fatto piacere a Kiev. Si tratta di "un tentativo di appeasement" che non fa avanzare gli sforzi per la pace, si legge in una nota diffusa dal ministero degli Esteri ucraino. "I discorsi danno solo a Putin la speranza di alleviare il suo isolamento internazionale", precisa il dicastero da settembre retto da Andriy Sybiha.
Poche ore prima al Cremlino era squillato il telefono. Dall’altra parte della cornetta Scholz che, come ricostruito dal governo di Berlino, ha chiesto a Putin di ritirare le truppe dall’Ucraina e di sedersi al tavolo dei negoziati con Zelensky. Non solo, gli ha anche manifestato tutta la sua preoccupazione per le presenza al fronte di truppe nordcoreane a fianco di quelle russe che, a suo dire, rappresenta "una grave escalation del conflitto". Un’ora di colloqui durante i quali lo zar si è detto pronto a riprendere il commercio di gas con Berlino, ma ha posto pesanti condizioni negoziali per l’integrità territoriale ucraina: eventuali accordi dovrebbero tener conto degli interessi di sicurezza della Federazione russa, procedere dalle nuove realtà territoriali e affrontare le cause profonde del conflitto. In pratica, sulla Crimea e il Donbass finirebbe per sventolare la bandiera nazionale di Mosca.
Prendere o lasciare. Quest’ultima ipotesi non sembra troppo nelle corde di Trump. Lo ha capito anche Zelensky che a Suspilne ha dichiarato: "Sotto la nuova amministrazione Usa la guerra finirà prima, anche se non esiste una data esatta". I 425 milioni di dollari in aiuti militari, stanziati giorni fa da Washington a Kiev, rischiano di essere gli ultimi. Il conflitto in Ucraina "deve finire", ha rincarato la dose Trump, intervenendo al gala dell’America First Policy Institute in Florida prima di aggiungere che sarà una sua priorità. A Mosca, per bocca del ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, si mostrano impazienti di valutare il suo piano di pace, anche se "non sappiamo che cosa proporrà esattamente".
Da est a sud il tycoon è impegnato a tutto campo a vestire i panni, se non del pacifista – troppo stretti anche per lui –, almeno del peacemaker o, più prosaicamente, dell’imprenditore che si fa i conti in tasca. Anche sul quadrante libanese dove ieri è stata colpita la palestra della base italiana Unifil, a Shama. Un proiettile inesploso dell’artiglieria israeliana non ha causato feriti. In questo contesto per il Wall Street Journal Trump avrebbe "approvato" la proposta di un piano di cessate il fuoco a gennaio in Libano, avanzato da Israele. Si tratterebbe di una sorta di regalo da scartare prima del suo insediamento.
Giovanni Panettiere