Israele ha patito ieri il colpo politico più duro dai massacri del 7 ottobre quando il procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan ha annunciato che chiederà mandati di arresto per crimini di guerra nei confronti non solo dei dirigenti di Hamas ma anche del primo ministro Benjamin Netanyahu e del ministro della difesa Yoav Gallant. La prima reazione in Israele è stata di shock assoluto, poi anche di oltraggio. Dopo mesi di aspre lacerazioni interne, tutti i principali esponenti politici (dal capo dello Stato Herzog al ministro degli esteri Katz, dai deputati della ultradestra nazionalista fino ai laburisti) si sono mobilitati per respingere la fondatezza delle accuse menzionate dal procuratore Kahn e per ribadire la totale certezza che a Gaza le forze armate di Israele si siano comportate nel pieno rispetto del diritto internazionale.
"L’atto assurdo e menzognero del procuratore dell’Aja – ha detto Netanyahu in un messaggio televisivo alla nazione – non è indirizzato solo contro il primo ministro di Israele e contro il ministro della difesa, ma contro l’intero Stato d’Israele". Rivolgendosi a Kahn, ha aggiunto: "Con quale sfrontatezza ha osato paragonare Hamas che ha assassinato, bruciato, smembrato, decapitato, violentato e rapito i nostri fratelli e le nostre sorelle con i soldati di Israele che combattono una guerra giusta, la più morale che si possa pensare? Questa è una distorsione totale della realtà. Questo è l’aspetto attuale del nuovo antisemitismo, che si è trasferito così dai campus occidentali alla Corte dell’Aja". Come in altre occasioni recenti Netanyahu ha ribadito che a 80 anni dalla Shoah il popolo ebraico "non si lascerà legare le mani" ed è determinato a combattere contro quanti progettano la sua distruzione. Paradossalmente, la stessa Hamas ha criticato la richiesta della Corte penale dicendo che così "si mettono sullo stesso piano vittima e carnefice".
Prima che in Israele rimbalzassero le dichiarazioni di Khan alla Cnn, il consigliere Usa per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha insistito per discutere gli sviluppi della guerra contro Hamas anche con due membri del gabinetto di guerra (Gallant e Gantz) che hanno maturato posizioni indipendenti rispetto a quelle espresse il giorno precedente da Netanyahu. Entrambi hanno confermato che le operazioni a Rafah (che destano timori a Washington e all’Onu) sono destinate a proseguire, perché ritenute essenziali per sconfiggere militarmente Hamas. Le forze israeliane controllano adesso due terzi del confine fra Gaza ed Egitto e hanno allontanato dalla zona di fuoco circa 950mila sfollati palestinesi. Ma dalla Striscia Hamas continua ad attaccare con i propri razzi le località israeliane vicine.
Gallant ha invece convenuto con gli Usa che Israele deve evitare in tutti i modi che la guerra si concluda con un controllo militare di fatto israeliano di tutte la Striscia. "Un governo militare prolungato a Gaza – ha avvertito Gallant – ci costringerebbe forse a prolungare la leva obbligatoria dei giovani israeliani da tre a quattro anni". Il progetto di una normalizzazione delle relazioni fra Israele e Arabia Saudita, che sta a molto a cuore a Biden, non è stato tuttavia menzionato né da Netanyahu né da Gallant. Tuttavia per le sue posizioni critiche verso il premier il ministro della Difesa è stato ieri aspramente criticato in una riunione di deputati del Likud. Alla Knesset, convocata dopo una lunga pausa, le tensioni politiche sono tornate ieri a manifestarsi e solo lo sdegno generale per le accuse giunte dalla Corte penale ha fatto slittare una mozione di sfiducia al governo. Ma nelle strade di Israele sono tornati a manifestare migliaia di israeliani che hanno reclamato la liberazione degli ostaggi ed elezioni legislative immediate.