di Alessandro D’Amato
ROMA
Il caso di Cecilia Sala è sempre più un rebus. La sua sorte pare legata a quella di Mohammad Abedini Najafabadi, il cittadino iraniano bloccato il 16 dicembre scorso su ordine della giustizia americana all’aeroporto milanese di Malpensa. Se da una parte gli Stati Uniti chiedono all’Iran di liberare la giornalista italiana arrestata il 19 dicembre scorso, dall’altra, l’avvocato Alfredo De Francesco, che difende l’iraniano, farà istanza alla Corte d’Appello di Milano per chiedere gli arresti domiciliari per il suo assistito. Il 38enne si trova detenuto nel carcere di Opera. Dopo il fermo è stato trasferito prima nel carcere di Busto Arsizio e poi in quello di Rossano Calabro dove gli è stato applicato il regime di alta sicurezza. Il 27 dicembre nuovo trasferimento nel penitenziario di Opera.
L’INTRECCIO
Il destino di Najafabadi sembra appunto legato a quello di Cecilia Sala, detenuta nel carcere di Evin e arrestata dalle autorità iraniane tre giorni dopo il fermo dell’imprenditore con cittadinanza svizzera che secondo gli Stati Uniti ha violato le leggi americane sull’esportazione di componenti elettroniche sofisticate dall’America all’Iran e ha fornito materiale sensibile a un’organizzazione terroristica straniera. Proprio ieri un portavoce del Dipartimento di Stato americano ha detto a La Repubblica che gli Usa chiedono all’Iran il "rilascio immediato e incondizionato" di tutti i detenuti senza giusta causa, come Sala. A questo proposito, tra l’altro, il ministro degli Esteri Tajani ha confermato che non è ancora stata formalizzata l’accusa su Sala e che "non sono prevedibili" i tempi del suo rilascio, sebbene il governo stia facendo "il massimo" per ottenerlo.
L’IPOTESI TRIANGOLAZIONE
Per liberarla si batte qualsiasi strada, compresa quella di uno scambio triangolare: la liberazione di prigionieri iraniani in altri Paesi, che potrebbero rientrare a Teheran solo dopo la liberazione della reporter romana.
GLI USA CHIEDONO
LA LIBERAZIONE
"Sfortunatamente il regime iraniano continua a detenere ingiustamente i cittadini di molti Paesi, spesso per utilizzarli come leva politica. Non c’è giustificazione e dovrebbero essere rilasciati immediatamente", ha aggiunto il portavoce. Osservando che "i giornalisti svolgono un lavoro fondamentale per informare il pubblico, spesso in condizioni pericolose e devono essere protetti" e che gli Usa sono "in contatto con gli alleati e i partner i cui cittadini sono ingiustamente detenuti". Se non risolto prima, il caso potrebbe essere uno dei temi della visita che Biden affronterà nel corso della sua visita a Roma dal 9 al 12 gennaio.
IL BIVIO GIUDIZIARIO
Nei giorni scorsi la giustizia americana ha formalizzato la richiesta di estradizione nei confronti del presunto "trafficante di droni". Toccherà alla Corte d’Appello la prima decisione. Se i giudici di Milano rifiutassero l’estradizione Najafabadi tornerebbe in libertà. Se invece i giudici dessero parere positivo, la decisione potrà poi essere impugnata in Cassazione dalla difesa. E questa eventualità può rallentare l’iter per l’estradizione. La scelta finale spetterebbe comunque al ministro della Giustizia Carlo Nordio, che dovrebbe decidere entro dieci giorni.
L’ACCUSA A NAJAFABADI
Secondo l’accusa a stelle e strisce Najafabadi avrebbe fondato una società svizzera, la Illumove Sa, satellite dell’iraniana Sdra, ovvero la società che ha fornito il software Sepehr utilizzato poi dal Corpo delle guardie della rivoluzione islamica per compiere un attentato con i droni a Tower 22, avamposto Usa in Giordania, causando 3 vittime e 38 feriti il 28 gennaio scorso. Washington ritiene che il sistema di navigazione sia stato commercializzato violando le leggi sulle esportazioni, proprio usando la società svizzera. "Spero nel ritorno a casa della giornalista italiana Cecilia Sala e conto che possa tornare presto dalla sua famiglia", ha detto ieri il vicepremier Matteo Salvini durante una diretta social.