Roma, 2 aprile 2024 – In questi giorni, par d’essere ripiombati nel clima di quindici-vent’anni e più: e molta propaganda riecheggia da entrambe le parti i temi cari ai tempi della lotta tra “il Bene e il Male”, tra gli “stati-canaglia” dei quali parlavano Bush jr. e Donald Rumsfeld e il “Satana occidentale” degli ayatollah. Vediamo di metter ordine in questa rissa a base di slogan.
I militanti islamisti (aggettivo che non equivale affatto a “musulmani”, ma che indica quanti intendono usare la religione musulmana a fini politici e terroristici) parlavano allora di uno jihad da bandire contro l’Occidente; e da noi c’era chi riteneva lo jihad l’equivalente musulmano di quello che da noi era la “guerra santa”, di “crociata”.
Quindi, si diceva, gli islamisti vogliono la “guerra santa” contro l’Occidente, esattamente come la volevamo noi quando eravamo dei fanatici ignoranti come loro.
Niente di più falso. Per i musulmani, il termine maschile jihad indica "lo sforzo benemerito in una direzione gradita a Dio" e non implica necessariamente alcun atto di guerra: lo si può in certi casi attuare combattendo, ma lo si compie altresì opponendosi al crimine, alle malattie, alle epidemie, ai cataclismi naturali, alla miseria, all’ingiustizia, all’ignoranza. In modo analogo, tra XI e XVIII secolo l’Occidente sviluppò l’idea giuridica e teologica di “crociata”, soprattutto (ma non solo) contro l’Islam: e qualcuno cercò di contrabbandarne anche una santificazione. Ma invano. Il mondo cristiano occidentale conosce sì il concetto di “guerra giusta”, spiegato nel V secolo da sant’Agostino: ma lo limita alle guerre difensive e proclamate da un principe legittimo. Talora i poeti e i propagandisti hanno parlato di “guerra santa”, mai però i teologi: e la Chiesa, pur benedicendo le insegne crociate, ha sempre chiarito che non esiste alcuna guerra “santificante” in sé e per sé. Chi combattendo una “guerra giusta” commette un delitto e si macchia di peccato mortale come chiunque altro. Per ebraismo, Islam e cristianesimo non è possibile in realtà alcuna “guerra santa”-
Da parte sua il patriarca moscovita Kirill, appoggiando senza dubbio la “guerra di Putin” (va detto che nei Paesi ortodossi la Chiesa è organo statale) e condannando come ha sempre fatto quello che a suo avviso è il carattere empio e licenzioso del "permissivismo", del "consumismo" e dell’"edonismo" occidentali, ha evocato il motivo della Svyashènnaya Vajnà (letteralmente "guerra santificatrice"): espressione già in uso nella Russia del 1812-’13, al tempo della guerra contro Napoleone, che venne riproposta nel 1941, nel clima d’indignazione contro i nazisti che, rompendo unilateralmente il patto di non-aggressione germano-sovietico di tre anni prima, avevano invaso l’Unione Sovietica. In tale occasione, la “Grande Guerra patriottica” (come ancora si definisce in Russia il conflitto 1941-’45), il poeta Vasili Lébedev-Kumach scrisse quasi di getto il poema Vstavài, strana orgòmnaya ("Sorgi, o immenso Paese") per il quale il compositore Aleksandr Aleksandrov, autore dell’inno nazionale sovietico e fondatore del coro dell’Armata Rossa, compose la musica.
Quell’inno, che dal suo ritornello era detto Svyashènnaya Vajnà, è stato da allora ad oggi la canzone patriottica più nota e più cara al popolo russo: un po’ come per noi La canzone del Piave . È un canto patriottico, che a parte il suo ritornello non ha nulla di “santo”. Kirill ha con la sua autorità religiosa “benedetto” qualcosa che di per sé con la “guerra santa” non ha nulla a che fare, ma ch’è parte semmai del contesto fortemente nazionalistico impostato per il conflitto attuale dal governo russo, che vuol collegare la guerra di questi giorni alla difesa del suolo patrio di oltre ottant’anni fa.
Questa la realtà delle cose. Il resto è volontario malinteso, volgare mistificazione.
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