Lunedì 25 Novembre 2024
REDAZIONE ESTERI

Corte Ue: no rimpatrio del rifugiato se rischia la vita (anche se ha commesso reati)

Secondo Corte di giustizia di Bruxelles la revoca o rifiuto dello status di rifugiato non devono privare una persona della sicurezza personale. Salvini critico: "Ecco perché bisogna cambiare l'Europa"

Un barcone soccorso nel Mediterraneo da una motovedetta della Guardia costiera (Ansa)

Un barcone soccorso nel Mediterraneo da una motovedetta della Guardia costiera (Ansa)

Bruxelles, 14 maggio 2019  - Un rifugiato non può essere rimpatriato nel suo Paese d'origine se là rischia la vita. L'importante precisazione arriva dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, e si basa sul principio secondo cui fino a che il cittadino di un paese extra-Ue, o un apolide, abbia un fondato timore di essere perseguitato nel suo paese di origine, o di residenza, questa persona dev'essere qualificata come rifugiato ai sensi della direttiva in merito e della Convenzione di Ginevra. Un riconoscimento dovuto, indipendentemente dal fatto che lo status di rifugiato ai sensi della direttiva sia stato, o meno, formalmente riconosciuto. 

Infatti secondo i togati di Bruxelles revoca e rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato non devono privare una persona, che teme di essere perseguitata nel suo paese di origine, né dello status di rifugiato né dei diritti che la Convenzione di Ginevra legati a tale status.  

Il caso, che avrà certamente ripercussioni per molti rimpatri, anche per l'Italia, è stato sollevato da un cittadino ivoriano in Belgio, da un congolese nella Repubblica Ceca, e da un ceceno, titolari o richiedenti dello status di rifugiato, a cui rispettivamente è stato revocato detto status o negato il riconoscimento. Risposte negative che si basano sulle disposizioni della direttiva sui rifugiati che hanno introdotto in molti paesi occidentali misure particolari contro chi rappresenta una minaccia per la sicurezza o, appurate condanne precedenti, per la comunità dello Stato membro ospitante.

I giudici di Belgio e Repubblica Ceca hannno così chiesto alla Corte di pronunciarsi sulla conformità delle disposizioni della direttiva Ue sui rifugiati con quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra.

La Corte nella sentenza odierna, e in base alle norme vigenti, ha stabilito che "fintanto un cittadino di un Paese extra-Ue o un apolide abbia fondato timore di essere perseguitato nel suo Paese d'origine o di residenza, questa persona deve essere qualificata come rifugiato indipendentemente dal fatto che lo status di rifugiato sia stato formalmente riconosciuto". 

La Corte ha aggiunto che la direttiva europea va "interpretata e applicata nel rispetto dei diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Ue" che "escludono la possibilità di un respingimento" verso Paesi a rischio. Quindi i giudici comunitari hanno ricordato che la stessa Carta "vieta infatti in termini categorici la tortura nonchè pene e trattamenti inumani e degradanti a prescindere dal comportamento dell'interessato e l'allontanamento verso uno Stato dove esista un rischio serio che una persona sia sottoposta a trattamenti di tale genere". 

La sentenza, a detta degli addetti ai lavori, ha stabilito che il diritto Ue dà al rifugiato una protezione maggiore di quella riconosciuta dalla Convenzione di Ginevra, stabilendo, anche nel caso di rifiuto o ritiro dello status di rifugiato per gravi e validi motivi, che costui non possa essere rimandato nel Paese d'origine.

SALVINI: CAMBIARE LA UE - Il ministro dell'Interno Matteo Salvini, commentando la sentenza: "Ecco perché è importante cambiare questa Europa, con il voto alla Lega del 26 maggio. Comunque io non cambio idea e non cambio la Legge: i 'richiedenti asilo' che violentano, rubano e spacciano, tornano tutti a casa loro. E nel Decreto Sicurezza Bis norme ancora più severe contro scafisti e trafficanti".