Giovedì 21 Novembre 2024
MICHELE CHIARUZZI e SOFIA VENTURA
Esteri

Reportage da Kiev: tra macerie e rinascita. L’orrore di Bucha negli occhi della gente

Il ponte per Irpin distrutto e il cimitero delle auto ostaggio degli invasori. Tra i segni di un mese di occupazione si vedono i bagliori della ricostruzione

Kiev, 24 maggio 2024 – Sulle due direttrici dell’invasione del febbraio 2022, da Nord, dalla Bielorussia, si susseguono distruzioni e cadaveri. Crimini di guerra. L’amico ucraino Maksym, del Pen Ucraina, che ci accompagna nei due viaggi prima verso Bucha, Irpin, Borodjanka e poi verso Yahidne, in direzione di Chernihiv, quasi parlando tra sé dice: "Senza Lukashenko tutto questo orrore non sarebbe stato possibile". Il dittatore bielorusso fantoccio di Putin è infatti stato essenziale per realizzare l’invasione e la discesa verso la capitale, Kyiv.

Il memoriale della fossa comune di Bucha  (foto di Michele Chiaruzzi)
Il memoriale della fossa comune di Bucha (foto di Michele Chiaruzzi)

Lungo la strada per Irpin si incontra il ponte distrutto dagli ucraini per fermare l’avanzata. Da lì provengono le foto che in tanti ricordiamo dei civili in fuga a Sud verso Kyiv, aiutati dai loro concittadini. Di fianco corre già il nuovo ponte, quello distrutto resta imponente come memento e monumento. Poco oltre, verso Bucha, incontriamo il cimitero delle auto dei civili sorpresi per strada dall’avanzata, crivellate e dilaniate dai carri armati. Un impressionante ammasso contorto e arrugginito che giace come monito di una guerra ancora in corso.

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Una palestra nei sotterranei della scuola di Yahidne (foto di Michele Chiaruzzi)
Una palestra nei sotterranei della scuola di Yahidne (foto di Michele Chiaruzzi)

Arrivati a Irpin, la casa della cultura, con l’interno completamente annerito, dove si cammina sulle macerie e sui vetri rotti, devastata con millimetrica precisione, espone le insegne della ricostruzione euroatlantica. La ricostruzione è visibile ovunque, malgrado la guerra che si combatte al fronte e che incombe su tutte le città.

Borodjanka, uno dei tanti edifici sventrati  dai missili lanciati dai russi (foto di Michele Chiaruzzi)
Borodjanka, uno dei tanti edifici sventrati dai missili lanciati dai russi (foto di Michele Chiaruzzi)

Oltre Irpin c’è Bucha. Tutti ricordano i corpi senza vita per le sue strade. Le strade che ora stiamo percorrendo. Oggi un memoriale è stato costruito dove si trovava la fossa comune di più di cento civili uccisi dalle truppe russe. Una parte delle cinquecento e più vittime del sobborgo di Kyiv. Poco più in là sono ricordati gli scomparsi, corpi non ritrovati o persone deportate. A Bucha c’è memoria e ricostruzione, a Borodjanka, dopo pochi chilometri, i crimini di guerra parlano ancora. Vediamo un palazzo sventrato che rivela gli ultimi momenti di vita quotidiana, la libreria, un piccolo tavolo di cucina e il frigorifero. Maksym ci racconta degli abitanti lasciati morire sotto le macerie dal nemico. Volontariamente. I graffiti di Banksy si stagliano proprio sui muri crivellati di Bodjanka. Il bambino judoka che atterra Putin è ora preservato dalla comunità della cittadina in una precaria struttura vicino al palazzo. Da lì, lungo la strada principale ci sono i condomini martoriati o collassati sotto il fuoco dei carri russi. Passavano e sparavano. Contro le abitazioni. Il celebre poeta ucraino Taras Shevchenko nella piazza principale con due colpi nella testa interpella con sguardo penetrante il passante.

L’altra direttrice , più a Est, da Kyiv porta a Yahidne; dalla Bielorussia ha portato truppe russe, probabilmente siberiane, e con loro il terrore. La quasi totalità degli abitanti del villaggio, trecentottanta persone, è stata subito stipata nelle stanze sotterranee della scuola, trasformata ai piani superiori nel quartier generale degli occupanti. Questo ci racconta Ivan, testimone diretto perché anche lui tra i reclusi, insieme alla sua famiglia. Ivan ci guida negli ambienti tetri, soffocanti e umidi dove per ventisette giorni donne, uomini e bambini sono sopravvissuti insieme alla fame, alla sete, alla paura, alle infezioni. Non tutti in realtà: undici sono morti. I morenti in delirio venivano poggiati su due porte allungate sul pavimento nella piccola palestra accanto ai due minuscoli lettini a castello dove erano a turno fatti coricare i bambini. Proprio loro hanno lasciato sulle pareti i graffiti più sconvolgenti, autoritratti allucinati e rappresentazioni infantili di un nemico grottescamente gigantesco che schiaccia vittime urlanti. Gli adulti segnavano sui muri il troppo lento passare del tempo.

Qui nel Nord dell’Ucraina l’occupazione è durata poco più di un mese, fino a fine marzo. Già il 16 marzo 2022 la Corte Internazionale di giustizia delle Nazioni Unite aveva ordinato alla Russia di "sospendere immediatamente le operazioni militari cominciate il 24 febbraio sul territorio dell’Ucraina". Quel mese è bastato per lasciare dietro di sé una messe di crimini di guerra. Crimini che continuano a essere perpetrati nelle zone ancora oggi occupate a Est. E che ci dicono della volontà di piegare una popolazione, la sua identità. Per assimilarla al mondo russo, per soddisfare la volontà di potenza dei capi del Cremlino, di Vladimir Putin, ricercato dal Tribunale penale internazionale per deportazione della popolazione dalle aeree occupate verso la Federazione russa. Imbattersi nelle tracce dell’espressione violenta e crudele di quella volontà toglie ogni dubbio sul significato della possibile sconfitta e consente di capire la coraggiosa e ostinata resistenza degli ucraini. "E che la forza sia con te" sono le parole che la voce della App Air Alert Ukraine pronuncia quando terminano gli allarmi aerei.