Martedì 16 Luglio 2024
GIOVANNI ROSSI
Esteri

Rave Israele, italiano fuggito dall’inferno: “Un’alba di missili. Salvi dopo 15 chilometri a piedi”

Il racconto di Yonathan Diller: “Abbiamo mantenuto la calma, ma siamo stati fortunati. Quando abbiamo sentito i primi colpi di fucile ci siamo nascosti nei cespugli"

Yonathan Diller

Yonathan Diller

Roma, 10 ottobre 2023 – C’è almeno un italiano sopravvissuto alla strage di Hamas, sabato mattina, al festival Supernova di musica elettronica e psytrance a Kibbutz Re’im. Si chiama Yonathan Diller, ha 28 anni. Papà statunitense, mamma italiana, altri due fratelli (uno di leva nell’esercito) e una sorella. Risponde a QN – in buon italiano e qualche parola in inglese – dalla casa di famiglia a Ra’anana, a nord di Tel Aviv. I 260 morti e i tanti dispersi sui 3mila partecipanti al rave insanguinato sono un macigno nella storia di Israele e nella psiche degli scampati all’attacco. Da 72 ore Yonathan rivive l’incubo dal quale è riuscito a evadere.

Yonathan Diller
Yonathan Diller

In che modo?

"Con tanta fortuna e molta freddezza".

Fatti e ricordi.

"Io e miei amici, una quindicina, entriamo nella festa molto tardi, con l’ultimo buio. Alle 6 io e al mio amico Nadav saliamo sul palco principale per ballare. Alle 6.29 ammiriamo l’alba. Un minuto dopo vediamo i primi missili in cielo e la nostra contraerea – Iron Dome – in azione. La musica si interrompe. In questi casi sappiamo tutti cosa fare. Le forze di sicurezza ci dicono di buttarci a terra. Poi di evacuare".

Tutti ubbidiscono?

"Sì. Io e i miei compagni di macchina partiamo subito. Ci sono uscite a nord e a sud. Tutti vanno piano. Sulla strada principale le macchine a un certo punto fanno inversione a U, a tutti viene dato l’ordine di svoltare".

C’è tensione, tra di voi, o solo preoccupazione, vista l’abitudine ai protocolli antiterrorismo?

"La situazione si complica velocemente. Alle 7.20 si forma un ingorgo. Un’auto rossa torna indietro con una ragazza ferita alla gamba da un’arma da fuoco. Vedere quella ragazza ferita è la nostra fortuna. Capiamo che non si può fuggire in macchina, che siamo sotto attacco. Che i terroristi di Hamas, anche se non sappiamo quanti, ormai sono lì. Vicini. Lanciamo le nostre bottiglie d’acqua al medico in soccorso della ragazza ferita e scappiamo".

Niente panico?

"No, la scelta giusta, l’unica possibile: fuggire a piedi. Sentiamo colpi di fucile, ci nascondiamo tra i cespugli. Poi seguiamo il sentiero indicato da due ragazzi della sicurezza. Prima nel fosso vicino, che in realtà è un fiume asciutto. Poi corriamo verso una fila di alberi. Sono le 8.30. Ancora uno scatto. Procediamo verso est tra campi e sentieri".

In quanti siete?

"Alcune centinaia di ragazzi, direi tra 200 e 400, ma tutti molto distanti. Camminiamo in una specie di vuoto, senza notizie. Non è chiaro quello che è successo e sta succedendo. Qualcuno all’inizio prova a correre, ma poi rallenta. Nessuno ha più acqua o cibo. Cerchiamo frutta sugli alberi lungo la strada".

Nessuno vi avvisa dell’offensiva su larga scala di Hamas?

"No, nessuno ci informa. E poi molti di noi hanno gli smartphone con la batteria scarica. Non sentiamo più gli spari. Solo Iron Dome. Alle 11.30, dopo quasi 15 chilometri di marcia, arriviamo al villaggio di Patish. Stanchi ma vivi. C’è subito un clima speciale. Gli abitanti del villaggio ci danno acqua e cibo. Cominciamo a capire a cosa siamo sopravvissuti. In autobus veniamo portati a Be’er Sheva e da lì a Tel Aviv. I miei genitori non sanno ancora nulla. Ritrovo la mia famiglia e la mia ragazza".

Pianto liberatorio?

"No".

Scattano le telefonate tra reduci?

"Subito. Della quindicina di amici che eravamo, in dieci siamo salvi. Degli altri cinque non abbiamo ancora notizie. Domenica mattina l’esercito mi richiama. Vado immediatamente a Be’er Sheva. Ora aspetto la destinazione. Sono pronto".

Dove corrono i pensieri?

"A tutti i ragazzi e le ragazze morti. A chi non ce l’ha fatta perché è rimasto ad aspettare o non ha avuto fortuna, a chi non si è imbattuto – come me – in un segnale di pericolo assoluto. Penso ai tanti dispersi. Ai ragazzi e soprattutto alle ragazze in ostaggio. Non voglio neppure immaginare cosa stiano subendo".

Sembra troppo persino per un’area del mondo così stressata.

"Eravamo tremila ragazzi pacificamente insieme nel sud di Israele per ascoltare musica e per ballare, per condividere le nostre passioni. Io partecipo a cinque-sei rave all’anno. Conosco il clima meraviglioso che si crea".

Invece, a Kibbutz Re’im, solo morte e terrore.

"Quelli di Hamas sono venuti ad ammazzarci come zanzare. Tutto il mondo deve sapere che hanno attaccato e ucciso dei giovani nel momento della festa, senza alcuna giustificazione. Solo terrorismo. Di questo si tratta".

Ma gli apparati di sicurezza israeliani hanno mostrato falle insospettate. Imperdonabili?

"Non è il momento di dividerci. Hamas ha fatto uno sbaglio gigantesco. La vinciamo questa guerra. La vinciamo noi".