Roma, 6 febbraio 2025 – Professoressa Virginie Collombier (Luiss Mediterrean Platform), se dovesse descrivere la Libia in questo momento, dal punto di vista politico ed economico, che quadro traccerebbe? “Il Paese vive una situazione di relativa stabilità, ma permane la divisione de facto in due zone concorrenti, ciascuna con un governo e un centro di potere: una nella capitale, Tripoli, guidata dal primo ministro Abdelhamid Dbeibeh, al potere dal 2021 a seguito di una mediazione dell’Onu, e l’altra, nell’Est del Paese, diretta dal generale Khalifa Haftar. Nonostante la rivalità sul controllo del Paese e delle risorse energetiche, i circoli ristretti di Dbeibeh e Haftar cooperano ormai da più di due anni, con un ruolo cruciale svolto dalla Banca centrale, che consente a entrambi di approfittare delle entrate statali. Nelle mani delle élite dominanti confluiscono ingenti somme di denaro, derivanti dalla vendita del petrolio, ma anche dalle opportunità legate alla ricostruzione delle città e alle necessità infrastrutturali. Inoltre, i traffici illeciti, tra cui quelli di migranti, droga e armi, alimentano enormi guadagni per chi controlla il territorio a livello locale”.
La Libia è un Paese strategico per l’Italia (e non solo) per l’energia e il controllo dei migranti, ma l’equilibrio trovato su questi temi è stabile?
“La relativa stabilità che prevale al momento è in realtà molto precaria. Soprattutto in un contesto regionale e internazionale estremamente instabile. In primo luogo, perché gli accordi informali tra i clan Haftar e Dbeibeh potrebbero rapidamente saltare, se uno dei due cercasse di far deragliare il nuovo processo politico avviato in questi giorni dall’Onu per esempio bloccando ancora una volta le esportazioni di petrolio. Oppure perché il moltiplicarsi dei conflitti in Medio Oriente e in Africa potrebbe intensificare ulteriormente i flussi migratori verso il Mediterraneo. Le autorità libiche o tunisine, a cui l’Europa ha affidato il controllo delle sue frontiere esterne negli ultimi dieci anni, potrebbero anche decidere di esercitare pressioni su di noi per ottenere di più”.
Il caso Almasri ha avuto una conclusione necessaria e se non fosse stato gestito così, quali ritorsioni si poteva aspettare l’Italia?
“Il caso Almasri illustra perfettamente l’ambiguità della situazione in cui l’Europa si trova oggi, avendo esternalizzato il controllo delle proprie frontiere. I politici europei sostengono le politiche di esternalizzazione per dimostrare ai loro elettori che sono in grado di “riprendere il controllo” sulla migrazione ma, ironicamente, queste politiche finiscono per esporci ai ricatti dei regimi autocratici e dei criminali, pronti a strumentalizzare la migrazione e le paure europee a proprio vantaggio. Non eseguendo il mandato di arresto della CPI contro Almasri, il governo ha voluto evitare di compromettere i risultati della sua politica migratoria (recentemente gli arrivi in Italia sono diminuiti). Non è detto, però, che porterà ai risultati sperati nel lungo periodo”.
Guardando all’Europa, invece, la Libia che peso ha?
“Nonostante la vicinanza geografica e i rischi che il conflitto nel Paese pone ai nostri interessi, purtroppo l’Europa continua a considerare la Libia solo attraverso il prisma migratorio”.
Che cosa si augura possa cambiare, in futuro, nel quadro libico che potrebbe salutato con favore dall’Italia e dall’Europa?
“L’Italia e l’Europa hanno tutto da guadagnare, nel medio e lungo termine, da un nuovo processo politico più inclusivo in Libia, che consenta al Paese di stabilizzarsi su basi più sane e sostenibili”.