Roma, 21 maggio 2024 – Professoressa Farian Sabahi, ricercatrice italo-iraniana, docente all’università dell’Insubria, la scomparsa di Raisi indebolisce il regime iraniano?
"La scomparsa di Raisi mette in difficoltà le autorità di Teheran perché, oltre a ricoprire la posizione di presidente della repubblica islamica, Raisi era anche il delfino dell’ayatollah Ali Khamenei, e quindi tra i favoriti alla sua successione. Ora, di fatto, il favorito per la successione del leader supremo è il figlio di Khamenei, Mojtaba. Ma sia la leadership iraniana sia la popolazione non vedono di buon occhio una repubblica islamica ‘ereditaria’, che avrebbe una legittimità minore rispetto a un sistema politico con ai vertici uomini dotti in ambito teologico".
Chi nel regime beneficerà della scomparsa, i radicali o i moderati? O comunque sarà sempre e comunque la Guida suprema Khamenei a decidere?
"In Iran ormai i moderati sono stati messi a margine, tant’è che all’ex presidente moderato Hassan Rohani non è stato permesso di candidarsi alle elezioni di inizio marzo per l’assemblea degli esperti, ovvero per quell’organo che eleggerà il prossimo leader supremo. La partita si gioca quindi esclusivamente tra i ranghi dei conservatori e degli ultraconservatori. In ogni caso, per ora a decidere è sempre e soltanto il leader supremo Ali Khamenei: è lui che ha l’ultima parola su tutto, compresi la politica estera e il nucleare".
Per le opposizioni si apre ora uno spazio di opportunità per riprendere le proteste di piazza del 2021-22, magari in occasione delle elezioni?
"Potrebbe aprirsi uno spiraglio per riprendere le proteste, ma la repressione di regime ha spaventato molte famiglie in Iran. L’arma migliore pare essere l’astensione dalle urne, come già fatto in passato. Non era detto che il leader supremo decidesse di portare il Paese al voto, avrebbe potuto decidere, in nome dell’interesse nazionale, di lasciare le cose come stanno, confermando gli interim. Ma evidentemente, visto che ieri una data è stata fissata, sente di poter governare il processo".
Cosa ha causato l’incidente? L’avaria di un vecchio elicottero durante una giornata di forte maltempo è l’ipotesi più probabile? Oppure potrebbe essere stato un sabotaggio, vuoi di matrice interna, vuoi condotto dai servizi israeliani durante la sosta dell’elicottero nell’amico Azerbaigian?
"Tutto è possibile. L’elicottero era un vecchio Bell acquistato dagli Stati Uniti, al tempo dello scià. Un documento interno ai vertici rivelava la necessità di acquistare almeno due elicotteri nuovi, di produzione russa, per i frequenti viaggi del Presidente iraniano nella regione. Non possiamo però escludere l’opzione sabotaggio: da parte dell’opposizione interna, motivata dal fatto che nel 1988 Raisi aveva mandato sul patibolo migliaia di oppositori, oppure di Israele. Non è nemmeno da escludere la complicità dell’Azerbaigian, Paese amico di Israele tant’è che ospita basi del Mossad".
Sapremo mai cosa è successo veramente?
"Ne dubito, anche perché le autorità iraniane non hanno alcun interesse a dichiarare che si è trattato di un omicidio mirato, da parte dei nemici dell’Iran, perché renderebbero evidente la loro impotenza nel difendere il Paese e i suoi funzionari.
Il regime teocratico si chiuderà a riccio scegliendo un “nuovo Raisi“, un fedele, spietato esecutore degli ordini della Guida, o c’è margine per una soluzione diversa e più autonoma, ovviamente nei limiti del possibile in un regime come quello di Teheran?
"L’Iran non è un regime teocratico, ma una oligarchia di ayatollah e pasdaran, dove questi ultimi hanno un peso sempre maggiore. Il rischio è quindi che, anziché un membro del clero, venga eletto un membro delle Guardie rivoluzionarie. È un rischio concreto, soprattutto in questa fase storica, in cui l’Iran è in guerra con lo Stato ebraico".