ROMA
L’ordine di Netanyahu di iniziare l’attacco Rafah ancora non è arrivato e con ogni probabilità non arriverà fino alla prossima settimana. Idf, le forze armate israeliane, proseguono i preparativi dell’offensiva, con lo schieramento decine di carri armati e veicoli blindati al confine, di due brigate di riservisti, la 976esima brigata corazzata Yftah e la seconda brigata di fanteria Carmel, lungo il corridoio Netzarim, che taglia in due la Striscia. Questo ha consentito di riportare in Israele i “berretti verdi“ della Brigata Nahal, che da tre mesi lo presidiava. La Nahal si riunirà con altre unità (presumibilmente la 401esima brigata corazzata e la 84esima brigata di fanteria Givati e un battaglione di artiglieria della 251esima) della 162esima divisione, quella alla quale appartiene, e parteciperà all’attacco a Rafah. Quando sarà.
Di sicuro i piani, approvati dal gabinetto di guerra, sono sul tavolo e ieri il gabinetto ha discusso per due ore mezzo relativamente ad un ultimo disperato tentativo di ottenere – mentre si costruiscono i campi tendati per profughi palestinesi che dovranno lasciare Rafah in caso di offensiva, e ci vorranno almeno due settimane – un accordo per la liberazione degli ostaggi. Mercoledì erano stati al Cairo il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, e il capo di Stato maggiore dell’esercito, Herzi Halevi, e oggi verrà in Israele una delegazione israeliana guidata dal capo del’intelligence egiziana generale Abbas Kamel, che illustrerà il piano egizioano anticipato a Halevi e Bar.
Il piano è in tre punti. Il primo è congelare l’invasione di Gaza, il secondo rilasciare in 10 settimane tutti gli ostaggi israeliani ancora vivi (almeno 90-95, si stima) in cambio di centinaia di detenuti palestinesi, secondo il “tasso di cambio“ di 50 detenuti palestinesi per un ostaggio militare e 30 per un ostaggio civile israeliano. Il terzo punto è la creazione di un cessate il fuoco di un anno e l’avvio (termine molto generico, e non a caso) della creazione di uno Stato palestinese. La probabilità che si concretizzi è considerata molto bassa anche perché Hamas chiederebbe una tregua di cinque anni e la creazione di uno Stato palestinese "sui confini del 1967" e oltretutto come primo passo verso il ritorno di tutti i profughi palestinesi in Israele.
Israele sarebbe invece pronta a ragionare su un mini-accordo di tregua per sei settimane in cambio della liberazione di soli 20 ostaggi (donne, anziani e malati), intesa che fu caldeggiata a suo tempo dagli americani, valutata cautamente da Tel Aviv e bocciata da Hamas. Ma il tempo stringe e l’Egitto è sempore più preoccupato di una possibile operazione militare nel sud della Striscia, che rischia di portare un flusso di centinaia di migliaia di profughi nel Sinai.
"L’Egitto – ha detto il presidente Abel Fattah Al Sisi in un messaggio televisivo – ha adottato una chiara posizione sin dall’inizio della guerra, respingendo la migrazione forzata dei palestinesi dalle loro terre verso il Sinai o qualunque altro posto al fine di preservare la causa palestinese e garantire la salvaguardia della sicurezza nazionale egiziana". Ma Israele non dà segno di aver cambiato le sue priorità che puntano ad azzerare le quattro brigate di Hamas (delle 6 superstiti su 18 esistenti prima del 7 ottobre) che sarebbero attive a Rafah. Nell’attesa, le operazioni militari nella Striscia proseguono, con almeno, secondo fonti israeliane, sei palestinesi uccisi ieri da raid israeliani, e tra di loro Abdallah Nabhan (33 anni) e suo figlio Jamal, di sette anni, un cooperante che lavorava per una agenzia belga. L’esercito israeliano ha anche riferito che "un gruppo terroristico di Gaza ha lanciato colpi di mortaio contro il molo in costruzione per portare aiuti nella Striscia mentre funzionari delle Nazioni Unite visitavano il sito con le truppe israeliane".
Alessandro Farruggia