Putin non sarà mai formalmente processato. Ma dopo l’accusa di crimini di guerra il suo spazio politico si restringe. Il marchio rimarrà e ne condizionerà l’attività. Così il magistrato italiano Cuno Tarfusser, già procuratore di Bolzano, sostituto procuratore generale a Milano e soprattutto per undici anni, dal marzo 2009, alla Corte penale internazionale, della quale è stato anche vice presidente.
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"Il mandato d’arresto di Putin – osserva Tarfusser – non è meramente simbolico. Dopo le sanzioni economiche, e quelle politiche in sede Onu dove una larga maggioranza di Paesi si è espressa contro la Russia, adesso arriva anche un accertamento giudiziario sui presunti crimini di guerra di Putin. Il che ha conseguenze potenzialmente pesanti. I 123 Stati che hanno ratificato lo statuto sono per legge obbligati ad arrestarlo se entra nel loro territorio, e gli altri Stati che non hanno ratificato lo statuto ma si sono espressi in sede Onu contro l’invasione dell’Ucraina potrebbero, esercitando quella che si chiama cortesia diplomatica, arrestarlo e consegnarlo".
Ciò, ovviamente non accadrà – sottolinea Tarfusser – "perché Putin si guarderà bene di andare nei Paesi che hanno ratificato la convenzione e nessuno andrà a prenderlo al Cremlino, ma i suoi spazi politici si riducono. Io personalmente feci l’istruttoria, e chiesi l’arresto, del presidente del Sudan al Bashir, e anche se questo arresto non è stato mai eseguito, l’accusa ha indebolito Bashir, che praticamente non poteva uscire dal suo Paese e che dopo qualche anno è stato spodestato da un colpo di Stato". Una cosa, spiega l’ex giudice del Tpi, non accadrà: un processo con Putin alla sbarra. "Se nelle udienza preliminare le accuse saranno confermate, cioè se, come nel codice italiano, fosse rinviato a giudizio – chiarisce Tarfusser – Putin non potrà però essere processato perché lo statuto della corte prevede espressamente che l’imputato sia fisicamente presente al dibattimento, e lui ragionevolmente non accetterà mai di consegnarsi".
La Corte è fondata sul trattato di Roma, firmato nel 1998, ed è in vigore dal primo luglio del 2002, dopo la ratifica del sessantesimo Paese. Gli aderenti sono oggi 123, Ue in testa. La Cpi ha giurisdizione sovranazionale e può processare individui, non Stati, responsabili di crimini di guerra, genocidio, crimini contro l’umanità, crimine di aggressione. Della corte non fanno parte – perché non hanno ratificato la convenzione – Stati Uniti, Russia, Cina, India, Pakistan, Israele, Corea del Nord, Arabia Saudita, Egitto, Emirati, Bielorussia, Kazakistan, Iran, Iraq, Indonesia, Malesia, Vietnam, Algeria, Libia, Marocco, Angola, Etiopia, Eritrea, Ruanda e alcuni altri Stati tra i quali l’Ucraina (che però in due occasioni ha accettato la sovranità della corte e non a caso, come in quasi tutti gli Stati nei quali è aperto un procedimento, ospita un ufficio del Tpi).
"Il Tpi, che è nato nel 1998 quando il clima internazionale era anche più favorevole, è logicamente frutto di un compromesso tra Stati – ammette Tarfusser –, è una tigre con pochi denti. È nata con molti Paesi che speravano che non facesse troppi danni, e comunque non è mai stata accettata dalle grandi potenze, da Israele e da molti Paesi arabi e alcuni Paesi asiatici e africani. Ma da un punto di vista giudiziario ha inciso. Ha aperto gli occhi alla comunità internazionale, fatto una operazione-verità operando senza pregiudizi. Ad esempio, mettemmo sotto accusa il presidente della Costa d’Avorio e poi io personalmente l’ho assolto. Quindi farebbe male Putin a liquidare la cosa come irrilevante, e non solo perché nel frattempo andranno avanti le istruttorie su altre accuse giunte al Tpi contro di lui. La corte ha una sua forte credibilità e le sue accuse hanno un peso specifico sulla comunità internazionale".