Forse non è un caso che la tragedia ucraina si stia consumando nel mese di marzo, il mese dedicato a Marte, cioè alla guerra. Ho ricevuto un WhatsApp ironico e storico al tempo stesso. Ci sono ricorrenze e auspici. Le ricorrenze riguardano la fine violenta degli Zar della Russia imperiale e quella ancora ambigua di Giuseppe Stalin, il mostro del totalitarismo sovietico.
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Gli auspici si condensano nella speranza che la "tradizione continui". Ogni riferimento all’attuale occupante del Cremlino è ovviamente non casuale. In effetti Vladimir Putin si gioca la testa. Gli oligarchi lo abbandonano. I generali vengono sostituiti. La campagna militare è un fallimento. Prevedibile. Il gelido giocatore di scacchi sembra avere sbagliato ogni mossa. E lo sa. Ma ora non si può più fermare. A differenza dei presidenti americani che entrano alla Casa Bianca all’oca di tutto, Putin si è formato alla scuola del Kgb. Dunque conosce le coincidenze di calendario legate alla biografia di tanti suoi predecessori, caduti nel mese di marzo. Di Stalin ad esempio, il 5 marzo (1953). Emorragia cerebrale? O avvelenato come – pare – lui avesse fatto già con Lenin e più tardi con la moglie? Dello Zar Paolo I, il 12 marzo (1801), ucciso nel sonno dai congiurati. E ancora: lo Zar Alessandro II, il 13 marzo (1881), fu ucciso da una bomba a San Pietroburgo. Aveva appena abolito la servitù della gleba. Nicola II, l’ultimo Zar, dimissionario il 15 marzo (1917), fu ucciso da bolscevichi il 17 luglio 1918, salvo poi sotto Eltsin essere stato riabilitato e elevato alla gloria degli altari dalla Chiesa Ortodossa. Infine il 18 Marzo 1584 morì Ivan il Terribile. Altro caso apparente di emorragia cerebrale.
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Ma al di là di questa cronologia, diciamo marzolina, c’è la storia vera e propria. Ne cito per primi i capitoli di cui giustamente Vladimir Putin va orgoglioso. Per due volte la Grande Madre Russa vanificò le ambizioni di Napoleone e di Hitler di stabilire un impero dall’Atlantico agli Urali. La vittoria nella ‘’guerra patriottica’’ del 1812 non solo salvò il trono a Alessandro I, ma fu la base della Santa Alleanza del 1815 con Austria e Prussia, cioè la rivincita dell’ ancien régime . Poi la vittoria nella Seconda guerra mondiale fece dell’Unione Sovietica una superpotenza e esportò anche in occidente la sua utopia repressiva e illiberale. Ma negli ultimi 150 anni la Russia ha perso quasi tutte le altre guerre. E ognuna di queste ha comportato profondi rivolgimenti interni.
La sconfitta del 1856, guerra di Crimea, contro Francia, Inghilterra, Impero Ottomano e Regno di Piemonte (i bersaglieri di La Marmora), determinò la perdita dei territori nell’est europeo e la morte prematura dello Zar Nicola I. Nel 1905 la sconfitta contro il Giappone determinò la prima rivoluzione russa, che fu il prologo della seconda rivoluzione, quella del 1917. E questa, a sua volta, fu accesa dai bolscevichi mentre Nicola II era costretto all’armistizio dalla Germania imperiale. Nicola II e tutta la sua famiglia sarebbero stati fucilati il 17 luglio 1918.
Nel sangue delle purghe nacque l’Unione Sovietica. Ma settant’anni più tardi, nel 1989, sarebbe stata sconfitta in Afghanistan dai mujaheddin armati dal presidente americano Ronald Reagan. Sette mesi dopo sarebbe caduto il muro di Berlino. Due anni dopo Boris Eltsin "suicidava" il cosiddetto impero del male (copyright Reagan).
Conclusione: Putin sa bene di avere solo due alternative. O la vittoria a ogni costo. O il collasso del suo regime. E quando un dittatore è con le spalle al muro l’impensabile diventa pensabile. Anche l’estremo ricorso alle armi nucleari. Ipotesi catastrofica. Biden l’avrebbe potuta scongiurare se avesse fatto come Reagan. Avesse armato per tempo l’eroico Zelensky. ([email protected])