“È un fenomeno politico che dà un grosso vantaggio a Marine Le Pen". Yves Mény, politologo, già presidente dell’Istituto universitario europeo di Firenze e del cda dell’Istituto Sant’Anna di Pisa, non ha dubbi sul rischio di "polarizzazione" della società francese che può scaturire dalla protesta delle banlieue.
Nonostante governo e Eliseo abbiano preso le distanze dall’azione omicida della polizia che ha innescato la protesta, la mobilitazione a Parigi continua. È indice di motivazioni più profonde?
"C’è un malessere che dura da anni ed è collegato al fatto che le banlieue sono diventate sempre di più dei luoghi occupati da etnie e comunità specifiche. Malgrado tutti gli sforzi fatti, che sono stati considerevoli, la popolazione di origine straniera tende sempre più a formare dei ghetti, compreso all’interno di singoli gruppi etnici. Le migrazioni si basano su reti di solidarietà, per cui c’è una spinta a raggrupparsi per vivere insieme: diversi quartieri delle periferie sono diventati molto omogenei dal punto di vista etnico, nazionale o religioso. La tensione scaturisce spesso dalle seconde o terze generazioni, che non hanno conosciuto le sofferenze delle migrazioni, ma alle quali la società francese non offre abbastanza. Il grosso problema riguarda l’educazione di questi ragazzi, che in molte banlieue non è sufficiente per permettersi di trovare un lavoro alla fine degli studi: cosicché si genera una rivolta contro la società dei consumi che li blandisce ma non permette loro di avere accesso. L’ascensore sociale non funziona più". Dalla strage degli algerini annegati nella Senna nel 1962, esiste anche una tensione storica con la polizia? "C’è un rapporto pericolosamente conflittuale. Primo: per ragioni storiche. Secondo: perché molti di questi quartieri vivono su una economia parallela, in particolare legata alla droga, che porta molto denaro. La polizia è presente per tentar di controllare i traffici. Ma questo ovviamente disturba e crea una specie di tensione permanente. Che poi scoppia quando c’è una scintilla come questo omicidio. Nel caso francese, poi, non bisogna mai dimenticare che da secoli la forma preferita di partecipazione alla politica non è il voto ma la protesta. In questo gli stranieri si sono perfettamente integrati alla Francia".
I social vengono messi sotto ac cusa in quanto veicolo della protesta. Ma il paradosso della società telematica non riguarda piuttosto il fatto che aggrega solo identità omogenee e agguerrite? "La rete funziona sulla base di interessi comuni. Dunque non favorisce il dialogo, ma al contrario il raggruppamento di tutti coloro che la pensano nello stesso modo o hanno interessi comuni. Tutti questi gruppi funzionano molto bene al loro interno, ma escludono coloro che non la pensano nello stesso modo". Questo può alimentare la xenofobia tra i francesi? "Senz’altro. C’è un solo un partito che sta traendo vantaggio dagli eventi in corso, ed è quello di Marine Le Pen. L’elemento identitario nazionalista e etnico trova motivo di rafforzarsi, opponendo i francesi da molte generazioni a quelli di origine straniera. A questo si aggiunge il fatto che il Rassemblement national rappresenta il partito dell’ordine: i francesi spaventati da quel che accade voteranno a destra". Un problema solo francese o europeo? "È cosi in Svezia, in Finlandia, in tutta l’Europa orientale, compreso nella Germania dell’est contro gli occidentali. L’elemento identitario sta crescendo. Il che è tanto più paradossale in quanto non abbiamo mai avuto possibilità di viaggiare e informarci come oggi. Ma, invece di aprire al mondo, questo rafforza le visioni particolaristiche e ristrette della popolazione".