Giovedì 26 Dicembre 2024
GIOVANNI PANETTIERE
Esteri

Processo a Budapest. L’italiana alla sbarra, legata mani e piedi: "Peggio di un cane"

La 39enne brianzola è accusata di aver aggredito due neonazi: chiesti 11 anni. Ma lei si proclama innocente, indignazione per come è apparsa in tribunale.

Processo a Budapest. L’italiana alla sbarra, legata mani e piedi: "Peggio di un cane"

Tenuta al guinzaglio come un cane. Legata mani e piedi da ceppi di cuoio sigillati con lucchetti, indosso un maglione troppo largo a righe orizzontali grigie e arancioni, al suo fianco due poliziotti in mimetica e passamontagna neri calati sul volto, così nascosto alla vergogna. L’unico brandello di umanità in aula è lei a sfoderarlo, col suo sorriso pieno all’indirizzo del padre seduto tra il pubblico dopo un lungo viaggio dall’Italia, un po’ per rassicurarlo, un po’ per esorcizzare una scena irreale per il tribunale di un Paese a trazione sovranista, ma sulla carta (ancora) dentro i confini dell’Unione europea.

Budapest, Ungheria: qui è comparsa ieri in udienza Ilaria Salis, 39 anni, l’insegnante antifascista brianzola accusata di aver aggredito a febbraio nella capitale magiara due neonazisti. Nel processo, apertosi e subito aggiornato al 24 maggio, la donna rischia fino a 24 anni di reclusione. La Procura ne ha chiesti 11, Salis ha già trascorso quasi un anno dietro le sbarre ungheresi. Voce bassa, ma ferma, attraverso una traduttrice, ha continuato a proclamarsi innocente. Alla sbarra c’erano anche due coimputati, un uomo e una donna tedeschi, pure loro accusati di aggressioni compiute nel febbraio scorso nelle strade di Budapest ai danni di estremisti di destra. Uno dei due è stato condannato a tre anni di reclusione, con giudizio immediato, essendosi dichiarato colpevole.

Per l’accusa i tre farebbero parte di un’organizzazione di sinistra radicale, formata in Germania e composta soprattutto da giovani che avrebbero pianificato di lottare con aggressioni fisiche contro simpatizzanti neonazisti o neofascisti. La pm al processo ha sostenuto che i tre avevano l’obiettivo di malmenare le vittime con mezzi in grado di uccidere. Nel febbraio scorso si sarebbero recati nella capitale ungherese in occasione di un raduno neonazista proprio con quello scopo. Ma è Salis, a detta della Procura, l’imputato principale: è lei ad aver partecipato a più aggressioni, causando lesioni corporali aggravate, in "associazione per delinquere", a due persone e concorrendo in un reato simile ai danni di una terza.

Un profilo criminale e politico da non farsi sfuggire, in tutti i sensi, per l’Ungheria di Orban, anche a costo di suscitare l’indignazione collettiva per come l’insegnante è stata tradotta in tribunale. Proprio là dove, tra il pubblico, si è visto anche qualche elemento neonazista, particolarmente interessato a seguire l’evolversi del processo. "È stato choccante, pazzesco, Ilaria ci aveva detto che veniva sempre trasferita in queste condizioni, ma vederla dal vivo ci ha fatto davvero impressione – è stato il commento a caldo di Eugenio Losco, uno degli avvocati italiani della Salis, seduto in aula al fianco del padre della donna –. Era tirata come un cane, con manette attaccate a un cinturone da cui partiva una catena che andava fino ai piedi, con questa guardia che la tirava. Ed è rimasta così per tre ore e mezza tanto è durata l’udienza. È una grave violazione della normativa europea, l’Italia deve far finire ora questa situazione". Il padre della 39enne ha rincarato la dose "Mia figlia viene trattata come un animale e i politici, il governo e i giornali fanno finta di non vedere".

Nei giorni scorsi l’uomo, dopo mesi di silenzio generale sul caso, ha avuto un incontro con il Guardasigilli, Carlo Nordio. Oggi, invece, sarà ricevuto dall’ambasciatore italiano a Budapest dopo che ieri un funzionario della nostra rappresentanza in Ungheria ha seguito l’udienza in tribunale. Si punta a far rientrare Salis in Italia già durante la carcerazione preventiva visto che il processo rischia di durare un anno e soprattutto considerando le condizioni detentive ungheresi "disumane", a detta della bergamasca Carmen Giorgio che con la brianzola ha condiviso per qualche tempo la stessa cella. "Topi, piccioni, cimici, catene, maltrattamenti e botte, lì dentro abbiamo visto di tutto", ha confidato a Repubblica.

Budapest, Ungheria, Europa. Per ora fuori dal tribunale sventola ancora la bandiera dell’Unione, dentro si vedono e s’odono catene. Dell’Inno alla gioia neanche una nota.