Sabato 21 Dicembre 2024
ALESSANDRO FARRUGGIA
Esteri

Scontro finale in Russia: Prigozhin o Putin, ne resterà solo uno

Il capo della Wagner da parte sua ha ormai bruciato tutti i ponti e ha una sola prospettiva: o vittoria o morte

Roma, 24 giugno 2023 – Come nel film ‘Highlander’, ne resterà solo uno. Il sistema di potere di Putin da mesi sta scricchiolando, con una guerra sempre più esplicita tra il suo “braccio armato” Prigozhin e le strutture di potere del ministero della difesa, in primis il ministro Shoigu e il capo di Stato Maggiore Gerasimov.

Prigozhin, leader del gruppo Wagner (Ansa)
Prigozhin, leader del gruppo Wagner (Ansa)

Prigozhin li ha apertamente sfidati, denunciandone l’incapacità a condurre la guerra in Ucraina, con l’obiettivo sempre più palese di sostituire Shoigu. Con un Putin apparentemente non schierato tra le due anime del suo regime, e convinto che il divide et impera possa contribuire a rafforzarlo, Shoigu ha mosso contro Prigozhin chiedendo alla milizia Wagner di registrarsi, leggi di mettersi sotto i controllo del ministero della difesa.

La mossa di prendere il controllo della Wagner non poteva essere accettata da Prigozhin, che avrebbe perso tutto il suo potere, e ha esacerbato ancora di più la situazione fino ai fatti di ieri. Il presunto (nessuno può verificare se sia vero o no) attacco contro un campo della Wagner è stata la goccia che ha fatto debordare il vaso e ha determinato l’insurrezione di wagneriti. Formalmente per ottenere la destituzione del potente Shoigu e di Gerasimov, in pratica per prendere il potere. Un colpo di stato in piena regola.

Prigozhin sinora non ha attaccato Putin, e per ore Putin non ha parlato alla nazione per dire quello che il ministero della Difesa e l’FSB hanno detto, e cioè che siamo di fronte a una insurrezione armata. Una situazione che non poteva continuare.

Era impossibile che Putin potesse scegliere di accontentare Prigozhin sostituendo i vertici militari perché se lo facesse diventerebbe di fatto ostaggio di Prigozhin e si trasformerebbe in poco più che un pupazzo al Cremlino.

Putin quindi era obbligato a difendere Shoigu e lo Stato attaccato militarmente da Prigozin. Se non lo avesse fatto, avrebbe perso la faccia e il potere, pur se formalmente fose rimasto al Cremlino. E ha infine deciso.

Prigozhin da parte sua ha ormai bruciato tutti i ponti e ha una sola prospettiva: o vittoria o morte. La determinazione in un colpo di stato è spesso decisiva e i suoi uomini - chi dice 25 chi dice 50 mila più unità della Rosguardia, la Guardia Nazionale,  che avrebbero cambiato lato - sanno che se non vincono pagheranno con la vita o con pesanti condanne.

Questo spiega perché avanzano mentre le unità militari mandate a contrastarli, meno motivate, spesso li lasciano passare. Le ore corrono veloci e le forze di Prigozhin hanno preso Rostov e raggiunto, 540 km più a Nord, Voronezh. Impressionante. 

Se Prigozhin non sarà fermato, giungerà a Mosca. Putin doveva quindi scegliere: o diventare un pagliaccio di Prigozhin o cercare di annientarlo. E l’ha fatto. Non c’è più spazio per astuzie ed attendismi. Ha chiamato la rivolta armata con il suo nome: ribellione. Tra Putin e Prigozhin ne resterà solo uno.