Domenica 1 Dicembre 2024
REDAZIONE ESTERI

Polveriera Siria. L’Iran valuta l’intervento. Colloquio Putin-Erdogan

I ribelli conquistano altre venti località, già 600 vittime nei combattimenti. Il Sultano allo zar: "Bisogna garantire l’integrità territoriale del Paese".

Polveriera Siria. L’Iran valuta l’intervento. Colloquio Putin-Erdogan

I ribelli conquistano altre venti località, già 600 vittime nei combattimenti. Il Sultano allo zar: "Bisogna garantire l’integrità territoriale del Paese".

di Beppe Boni

ROMA

A quattro giorni dalle fiammate di rivolta in Siria con le diplomazie di mezzo mondo che si agitano senza avere i tasti esatti da premere, i ribelli jiadisti continuano ad ampliare il loro raggio d’azione. Mentre si registrano già 600 vittime nei combattimenti. Contemporaneamente intorno al regime di Assad si muovono più o meno indirettamente Turchia, che appoggia i ribelli, e Russia, tradizionale alleato della Siria. Si rischia una pericolosa escalation perchè intanto anche l’Iran, pur impegnato nella guerra asimmetrica in Libano a sostegno di Hezbollah, è pronto all’invio di truppe se il governo di Damasco richiederà aiuto, cosa probabile. Dalla parte opposta nel pericoloso risiko siriano, secondo la stampa araba, un’altra fazione armata, l’Esercito nazionale siriano (Syrian National army, Sna), sostenuto dalla Turchia, potrebbe mettere gli scarponi sul terreno contro l’esercito di Assad.

Brutta storia, l’incendio sta divampando e l’arco della crisi globale si allarga, mentre in Libano c’è formalmente la tregua ma si spara lo stesso. Il bollettino di giornata in Siria registra una ventina di località (non luoghi strategici), che nelle ultime ore le forze ribelli di Hayat Tahrir Al-Sham (Hts) avrebbero strappato al controllo del governo di Damasco, dopo Aleppo, nella Siria nord-occidentale. Battaglia intensa, ma nessuna vittima. È comunque difficile capire da che parte penda la bilancia in questo intreccio perchè le fonti ufficiali tergiversano. L’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr) conferma comunque la conquista di Taybat Al-Imam, Halfaya, Suran e Maardas a nord di Hama. E nell’offensiva di Aleppo gli insorti hanno anche preso il controllo dell’areoporto internazionale, un fatto eclatante perchè dal 1946 non era mai accaduto, più altri quattro scali militari strategici anche per l’Iran. Infatti Teheran li utilizzava per rifornire le linee degli Hezbollah libanesi tramite il corridoio di Homs confinante con la valle libanese della Bekaa. Quest’ultimo sviluppo è visto con soddisfazione da Israele che intanto agisce anche Siria: ieri vicino a Damasco in una incursione aerea ha eliminato il rappresentante di Hezbollah nell’esercito siriano, Salman Nemer Jamaa.

Mosca intanto mostra i muscoli lanciando missili ipersonici Zirkon, da crociera Kalibr e missili Onyx, nel Mediterraneo formalmente per una esercitazione. Tra una bomba e l’altra ieri si sono parlati il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin e almeno a parole il primo si è speso per "l’integrità territoriale della Siria" e il secondo ha auspicato "la fine dell’aggressione terroristica contro lo Stato siriano". Detta da lui sembra un paradosso. "È una guerra per procura dove attori come la Russia non nascondono il loro coinvolgimento – afferma il ministro degli Esteri, Antonio Tajani –, la mia preoccupazione è mettere in salvo i 300 italiani che lavorano in Siria". Ma il vero timore è che si alzi la marea dei profughi in fuga. "Lavoriamo perché non ci sia un collasso migratorio. È quello il grande pericolo se la guerra continua. Già ci sono 50mila sfollati, se dovessero arrivare a centinaia di migliaia, allora c’è il rischio che si ripeta quello che è successo con la prima guerra civile in Siria".

E continua a preoccupare anche il Libano senza pace perché c’è una tregua (a tratti violata da Hezbollah) ma si spara e si muore ugualmente. Israele neutralizza ogni situazione sospetta. Le forze di difesa israeliane in un raid nell’area del Monte Dov, al confine con il Libano, hanno distrutto tunnel delle milizie. Infatti il premier israeliano Benjamin Netanyahu dice che "siamo in un cessate il fuoco, non è la fine della guerra".