Sono un piccolo, ma determinato, esercito nell’esercito. Combattono una guerra che non è la loro come se la questione li riguardasse direttamente. Il caso di Gianni Cenni, che si era arruolato nell’esercito russo il 13 novembre dello scorso anno e che è stato catturato nei giorni scorsi in Donbass dall’intelligence ucraino, non deve sorprendere. Pizzaiolo di professione, napoletano e secondo molti un po’ ‘sangue pazzo’, come dicono nella sua città natale, Gianni, classe 1973, sposato, due figli e un regolare libretto di arruolamento rilasciato dal ministero della Difesa di Mosca, non è certo il primo italiano che combatte per i russi.
Probabilmente Cenni sarà parte di uno scambio di prigionieri, ammesso che alla tanto amata Russia interessi riprenderselo e che non abbia come priorità il rimpatrio dei suoi connazionali (ipotesi, questa, alquanto difficile). La verità è che il pizzaiolo è stato molto fortunato a venire catturato in un’operazione di ricognizione e intelligence oltre le linee nemiche, tra la zona di Kupyansk e la regione di Lugansk. A Elia Putzolu, Edy Ongaro e Benjamin Giorgio Galli, rispettivamente di 28, 45 e 27 anni, morti tutti e tre pochi mesi dopo l’inizio del conflitto, è andata decisamente peggio e di sicuro Mosca non si è stracciata le vesti per reclamare i loro corpi, cosa che non ha fatto nemmeno per centinaia di connazionali. La cosa che, se non sorprende, di certo fa riflettere. Non ci sono numeri ufficiali, ma si conta che gli italiani che stanno combattendo per la Russia siano circa un centinaio. Ma perché vanno a rischiare la vita per un Paese che non è il loro?
I motivi sono tanti e diversi l’uno dall’altro. Di certo, questo non è un fenomeno nuovo. Già dai tempi della guerra del 2014 gli italiani impegnati nella lotta per ‘l’indipendenza del Donbas’, di fatto la sua consegna alla Russia, si contavano a decine. Il fenomeno è esploso dopo il 24 febbraio 2022, quando Mosca decise di invadere l’Ucraina, anche grazie alla guerra di informazione e la propaganda sui social, che in Italia ha colpito con maggiore decisione. Prima, le forze dell’ordine italiane hanno arrestato diverse persone con l’accusa di aver cercato di reclutare giovani e meno giovani pronti a immolarsi per una causa che non è la loro.
Per prima cosa, è opportuno distinguere fra quelli che lo fanno per soldi, e che quindi sono mercenari e militari dotati di una qualche professionalità, e i volontari. Sulla materia si arrovellano sociologi, psicologi e in qualche caso anche psichiatri. C’è chi pensa, e sono in molti, che la Russia sia effettivamente dalla parte della ragione. Questo è il risultato non solo della propaganda, ma di una narrazione distorta e dell’aver studiato la storia di un territorio complesso solo dal punto di vista di Mosca. Sembrerebbero una manica di esaltati e in parte lo sono.
Uomini che, non avendo mai fatto una guerra sul territorio europeo, si sono sentiti in dovere di andare a combattere le guerre degli altri. Ma in alcuni casi, poi non così minoritari, c’è un moto di ripulsione per la parte di mondo da cui vengono, identificabile con il capitalismo occidentale, il materialismo o una società pluralistica. Proprio la ricerca di un’identità alternativa spinge, il desidero di definirla, spinge questa persona a combattere. Di converso, chi va a combattere per l’Ucraina sono alcuni italiani che hanno deciso di imbracciare il fucile e andare in guerra per difendere un sistema di valori, quelli europei, che ritengono in serio pericolo e per i quali la guerra in Ucraina è la guerra della Russia contro l’Occidente.