Roma, 26 giugno 2023 – “La vicenda ha ancora molti punti oscuri, ma una cosa si può dire: Prigozhin si aspettava che ci sarebbe stata una presa di posizione a suo favore di un certo numero di unità militari. Quando questo non è successo, si è reso conto che da solo non ce la poteva fare e che l’unica cosa era negoziare un salvacondotto per se stesso e per i suoi uomini. E così è stato: una scelta di realismo, anche se è stata una sostanziale resa". Questa è la lettura del tentato golpe russo che fa il generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare e poi della Difesa.
Come mai Prigozhin, entrato in Russia, prese Rostov e Voronezh, percorsi 900 chilometri quasi senza colpo ferire decide di ritirarsi?
"Prigozhin aveva forze ben preparate, equipaggiate e determinate, abituate da anni al combattimento, ma che erano poche, 25mila uomini. Assolutamente inadeguate a prendere il controllo di una metropoli come la capitale russa. Poteva tentare di forzare, ma poi? I russi avrebbero fatto affluire forze della riserva. Si aspettava che, arrivato a Voronezh, ci fosse un pronunciamento a suo favore di un certo numero di generali russi. Ma non è successo e quindi ne ha tratto le conseguenze nel tavolo parallelo che presumibilmente stava tenendo con il presidente bielorusso Lukashenko. Il suo ‘non trattiamo’, è diventato un ‘sì, trattiamo una via d’uscita onorevole’. Più o meno onorevole perché, al di là del salvacondotto a Lukashenko per andare in Bielorussia e alla promessa di non processare né lui né i suoi uomini, non abbiamo visto molto. E credo che ci sia molto di non detto. Sfortunatamente per Prigozhin, sarà gestito da Putin nelle cui mani si è messo: il che è, diciamo, scomodo".
Alcuni generali russi hanno tradito le sue aspettative?
"In questi casi direi che non si fanno vere e proprie promesse. Diciamo che si fa intuire una disponibilità. Purtroppo per lui molti generali, magari non contrari all’insurrezione, non sono andati oltre la non ingerenza. Sono stati alla finestra, a vedere chi avrebbe prevalso, sperando che fossero altri a fare il rischioso salto nel vuoto di unirsi a una insurrezione contro Putin. E questo non bastava a Prigozhin, aveva bisogno di comandanti che gli mandassero sul terreno i loro uomini".
Il Washington Post scrive che Putin sapeva da almeno 24 ore. Perché non ha agito in maniera più efficace?
"Alla fine è stato efficace. Ha scelto di lavorare in silenzio per assicurarsi il supporto dell’apparato militare, di intelligence e dei suoi amici oligarchi e ha lasciato cuocere Prigozhin nel proprio brodo. Garantitosi che le sue retrovie avrebbero retto, ha lasciato che il topo cadesse in trappola. Lo ha fatto andare avanti e poi, via Lukashenko che faceva da intermediario, lo ha messo di fronte al fatto compiuto. ’Sei solo, nessuno ti ha seguito, se vieni a Mosca non hai scampo. Meglio che lasci perdere e nessuno si farà male’. Ha evitato un bagno di sangue e ha risolto il dossier Wagner che stava diventando un po’ troppo ingombrante".
Gli americani che sapevano tutto hanno fatto bene a non interferire?
"Hanno fatto benissimo, se sapevano. Ma mi permetto di esprimere qualche dubbio sul fatto che sapessero tutto. I servizi sanno spesso tutto e il suo contrario. Quando ero in servizio, i dispacci di allarme o messa in guardia contro questa o quell’altra minaccia erano non quotidiani, ma quasi orari. E alla fine, dato che non succedeva nulla, li prendevo con il beneficio dell’inventario. Ma i servizi potevano dire: noi l’avevamo previsto. Come no, anche il suo contrario".