Roma, 9 gennaio 2025 – I nomi non li fa, il protocollo lo sconsiglia e per giunta un antipatico raffreddore di stagione gli impedisce di pronunciare personalmente il discorso equilibrato e prudente, stilato dalla Segreteria di Stato, costringendolo a rinunciare a eventuali e proverbiali passaggi a braccio. Nulla da aggiungere o omettere, va bene così, ma a chi stia pensando papa Francesco, quando riecheggia nell’Aula delle Benedizioni del Palazzo apostolico, l’appello accorato “a favorire il dialogo con tutti, compresi gli interlocutori considerati più scomodi“, è fin troppo chiaro ai 184 ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, ricevuti in udienza per i tradizionali auguri d’inizio anno.
I convitati di pietra è facile intuire siano, da un lato, Vladimir Putin, che il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump sta ob torto collo rendendo meno sgradito alle cancellerie occidentali, e, dall’altro, i vertici iraniani, dei loro sodali di Hamas ed Hezbollah e il premier israeliano Benjamin Netanyahu che proprio Teheran, attraverso una fuga di notizie né smentita, né confermata dalla Sala stampa vaticana, ha palesato all’opinione pubblica internazionale come poco gradito agli occhi dello stesso Pontefice. Nell’Anno Santo della speranza, però, non c’è tempo per le preferenze, lascia intendere Bergoglio, sempre che non si voglia peggiorare ulteriormente un contesto geopolitico in procinto di deflagrare a livello mondiale.
La guerra fra Russia e Ucraina, la situazione umanitaria giudicata “gravissima e ignobile” a Gaza, in ragione della quale si torna a invocare un cessate il fuoco e a cui fa da contraltare la forte preoccupazione per “le crescenti espressioni di antisemitismo” contro le comunità ebraiche. E ancora, il ritorno del terrorismo in Europa e negli Stati Uniti, la crisi politica in Venezuela, le violenze, le inondazioni e la siccità in Sudan e Corno d’Africa. Lo sguardo del Papa si posa su ogni angolo del pianeta, dai più noti ai più remoti. Tensioni e ansie prevalgono sui timidi scampoli di speranza rappresentati dalle situazioni in Siria e Libano. A togliere il sonno a Bergoglio è “la sempre più concreta minaccia di una guerra mondiale“. L’antidoto non può che ricercarsi nella diplomazia, ma questa è chiamata a recuperare valori che, complici divisioni e fratture, sembrano venir meno, dalla speranza alla verità, dalla libertà alla giustizia, dal perdono al dialogo con tutte e tutti.
Sul piano più pratico, Francesco rinnova la richiesta di riformare le istituzioni multilaterali, “la maggior parte delle quali è sorta al termine della seconda guerra mondiale, ottant’anni fa”, perché “non sembrano più in grado di garantire la pace e la stabilità, la lotta contro la fame e lo sviluppo per i quali erano state create”. Poi il Papa richiama la proposta, contenuta nella Bolla d’indizione dell’Anno Santo: costituire con il denaro delle spese militari “un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri“.
Evangelica provocazione in uno scacchiere internazionale nel quale, invece che chiedere di ridurre i costi per la Difesa, si spinge affinché aumentino fino al 5% del Pil. Trump e i Paesi della Nato ne sanno qualcosa. E con loro evidentemente lo stesso papa Francesco.