All’indomani dell’uccisione da parte di Hamas di sei ostaggi, Israele è un Paese più lacerato che mai. Da una parte c’è il governo Netanyahu, dall’altra ci sono le masse mobilitatesi per esigere la fine della guerra a Gaza e lo scambio dei prigionieri. Domenica sera a Tel Aviv si è svolta la piu’ grande manifestazione dall’inizio della guerra: vi hanno preso parte almeno 200mila persone indignate per il comportamento del governo che impuntandosi sul controllo militare del corridoio Filadelfia (il confine fra Egitto e Gaza) ha di fatto pregiudicato la sorte degli ostaggi. Ieri inoltre anche la centrale sindacale Histadrut, rimasta passiva finora, è scesa in campo con uno sciopero generale a tutto campo. Banche chiuse, voli sospesi all’aeroporto, centri commerciali deserti. La reazione del governo Netanyahu è stata rigida. Ministeri e consigli municipali vicini al Likud hanno avuto ordine di ignorare la protesta. Il ministro delle finanze Bezalel Smotrich (del partito di estrema destra Sionismo religioso) si è rivolto al tribunale del lavoro affermando che la manifestazione in sostegno degli ostaggi era di carattere politico e dunque esulava dalle regole sui rapporti di lavoro. Dopo poche ore un giudice ha decretato la fine anticipata dello sciopero.
Lo stesso Netanyahu ha detto che esso era peraltro "una vergogna". "Siamo in guerra e Arnon Bar David (il leader della centrale sindacale, ndr.) con quello sciopero rafforza Sinwar. È come se gli avesse detto: ‘Uccidi pure, noi siamo con te’"’. In una conferenza stampa il premier ha poi chiesto scusa alle famiglie degli ostaggi uccisi "per non essere riuscito a riportarli vivi a casa". "Ma quella strage – ha avvertito – non sarà ignorata. Hamas sappia che pagherà un prezzo molto duro".
Anche ieri nelle strade spirava comunque con irruenza il vento della protesta. Attaccati domenica a Tel Aviv da agenti della polizia che hanno fatto ricorso anche a cannoni ad acqua e a bombe assordanti, i dimostranti sono tornati ieri a bloccare il traffico in decine di incroci stradali. In serata in migliaia sono tornati nel centro di Tel Aviv e presso le due residenze private di Netanyahu: a Gerusalemme e a Cesarea. Ci sono stati arresti tra i dimostranti. La Gran Bretagna ha annunciato limitazioni alla forniture ad Israele di decine di mezzi da combattimento. "Siamo molto delusi" ha replicato il ministro degli esteri di Tel Aviv, Israel Katz. In un appassionato intervento alla televisione Netanyahu ha chiarito che né le manifestazioni di massa né lo sciopero generale hanno indebolito la sua convinzione che il mantenimento del controllo sull’Asse Filadelfia "è una questione di rilevanza strategica, assolutamente critica per le capacità di difesa dello Stato ebraico nei confronti dell’Asse del Male", ispirato dall’Iran.
Ieri comunque in Israele è stato il giorno della massima commozione con i funerali del giovane Hersh Goldberg-Polin e Carmel Gat, una istruttrice di yoga. Entrambi erano ancora vivi pochi giorni fa, entrambi sarebbero stati fra i primi ad ottenere la libertà se Netanyahu avesse firmato un accordo sulla tregua. A Gerusalemme decine di migliaia di persone si sono ammassate lungo le strade attraversate dai genitori di Hersh con la salma del figlio. Sulla fossa del giovane il capo dello Stato Isaac Herzog gli ha chiesto "perdono a nome di Israele". Migliaia di israeliani, giunti da tutto il Paese, sono pure confluiti al cimitero di Beeri nel Negev, per salutare Carmel Gat. Riferendosi alla possibilità che Netanyahu cerchi di telefonare alla famiglia, il cugino Gil ha detto: "Non abbiamo interesse a parlare con chi l’ha uccisa". Ha aggiunto che ora più che mai occorre moltiplicare le manifestazioni: "È una lotta per il futuro delllo Stato".