Dopo quasi 500 giorni di prigionia in isolamento due ostaggi israeliani hanno ieri rischiato la vita proprio quando per loro si era finalmente dischiusa la porta verso la libertà. Per volere di Hamas e della Jihad islamica Gadi Moses (un agronomo di 81 anni, nonno con 10 nipoti) ed Arbel Yehud (29 anni, residente come lui nel kibbutz Nir Oz) sono stati costretti ad attraversare gli ultimi 100 metri fendendo a piedi una folla ostile e ribollente, sballottati e spintonati da miliziani incappucciati ed armati. Al di là di quelle terribili ‘forche caudine’ attendevano in silenzio i rappresentanti della Croce rossa, con i loro veicoli bianchi parcheggiati – per volere di Hamas – in una strada di Khan Yunis non distante dalle macerie della casa dell’architetto dell’blitz del 7 ottobre, Yahia Sinwar. Nella baraonda totale, Moses e Yehud sono scomparsi per lunghi minuti alla vista delle telecamere. Poi è giunta la conferma che erano riusciti a raggiungere – assieme con cinque ostaggi thailandesi – un veicolo della Croce rossa. Solo allora milioni di israeliani, che seguivano quelle scene in trepidazione in diretta televisiva, hanno tirato un sospiro di sollievo. "Abbiamo visto scene terribili, crudeltà sconvolgente" ha poi commentato Benyamin Netanyahu. "Abbiamo chiarito ai mediatori che non accettiamo che i nostri ostaggi siano messi in pericolo. Chi cerca di colpirli, avrà i giorni contati".
La liberazione di 110 palestinesi, che doveva avvenire in contemporanea, è stata rinviata di alcune ore: fino a quando Israele ha ottenuto dai mediatori la garanzia che le prossime liberazioni avverranno in maniera più ordinata. Paradossalmente, Israele si affida così a Hamas affinché mantenga l’ordine.
In precedenza fra le macerie di Jabalya, nel nord della Striscia, Hamas ha rilasciato ieri un’altra vedetta dell’esercito israeliano: Agam Berger, 21 anni, che ha potuto così ricongiungersi con quattro compagne catturate assieme a lei. Dai primi esami medici è risultato che pur dimagriti ed emaciati Gadi, Arbel ed Agam erano tutti in condizioni fisiche soddisfacenti. Poco dopo le traumatiche liberazioni erano già ricongiunti con le famiglie. "Riporteremo a casa tutti gli ostaggi" ha assicurato ieri l’emissario personale di Donald Trump per il Medio Oriente Steve Witkoff. Ne restano 82, di cui 35 ritenuti morti. Dopo un sopralluogo nella striscia di Gaza Witkoff ha voluto vedere i drammatici filmati ripresi nel Negev subito dopo il 7 ottobre, ha incontrato quattro soldate appena liberate e poi ha raggiunto la ‘Piazza degli Ostaggi’ di Tel Aviv dove è stato accolto da applausi.
Persona sbrigativa, Witkoff ha voluto anche parlare di business: alla vigilia dell’incontro di Netanyahu con Trump ha incontrato alcuni dirigenti politici (fra cui il ministro di estrema destra Smotrich ed il leader ortodosso Deri) per chiarire che l’Amministrazione si attende che Israele rispetti le intese della tregua fino in fondo. Ossia, che è esclusa una ripresa dei combattimenti. Ossia che per gli Usa questa guerra sta finendo. Nelle stesse ore in Cisgiordania sono tornati liberi 110 palestinesi fra cui gli autori di stragi condotte 20 anni fa nell’intifada dei kamikaze.
Fra questi un noto esponente di al-Fatah, Zakaria Zbeidi. Attorno a loro sono state organizzate manifestazioni di sostegno a Hamas, la cui popolarietà appare in forte ascesa. Ora Hamas spera di giocare la ‘carta vincente’: di ottenere cioè anche la liberazione del leader di al-Fatah Marwan Barghuti.