Roma, 14 ottobre 2023 – L’ospedale di al-Shifa a Gaza è prossimo alla “catastrofe sanitaria". E’ l’allarme di Ghassan Abu Sitta, chirurgo ricostruttivo che si trova nella struttura, una delle più grandi se non la più grande della Striscia. I suoi post su ‘X’ sono un diario di guerra. "Centinaia di pazienti feriti necessitano di un intervento chirurgico ma non possono entrare in sala operatoria – scrive Ghassan, conosciuto come il 'medico che ripara i volti’ –- Decine di migliaia di sfollati interni cercano rifugio nei giardini, nei corridoi, nei reparti. Ovunque”.
Nell’ospedale costruito sulla costa, all’altezza di Gaza City, hanno trovato rifugio anche i parenti del personale: infermieri e dottori, amministrativi, si sono portati dietro mogli, mariti, figli, genitori, per salvarli dalle bombe. "In ogni stanza c’è una famiglia, io ho dormito sul lettino della sala operatoria”.
L’ospedale di Shifa al momento è un posto sicuro. Ma a breve potrebbe non esserlo più. “Israele sta cercando di far chiudere l’ospedale – twitta ancora Ghassan Abu Sitta –. L’esercito continua a chiamare la direzione, minaccia di prenderlo di mira, a meno che non venga evacuato”. Ma evacuarlo è impossibile, per ovvie ragioni. “Vogliono provocare una catastrofe sanitaria”.
Le foto immortalano distese di sacchi bianchi con dentro i cadaveri, non c’è un posto dove portarli e non c’è tempo per seppellirli. “Hanno appena portato decine di morti dal campo di Shatie”, racconta il medico. Feriti insanguinati portati in barella, uomini, bambini: le loro urla si possono soltanto immaginare.
Manca tutto: medicine, l'elettricità per le incubatrici per i neonati prematuri, le garze, i disinfettanti. "Abbiamo usato il 95% delle forniture. L'affollamento porterà a un'epidemia, alla diffusione di malattie infettive”, è l’allarme del chirurgo.
E’ difficilissimo dire quante persone ci siano, ma “parliamo di centinaia”, spiega Lucia Elmi, rappresentante speciale dell'Unicef per lo Stato della Palestina che si trova a Gerusalemme est, dove sta coordinando le operazioni umanitarie per la situazione.
L’’ospedale di Shifa è frequentato da tante donne partorienti perché c’è un grosso reparto di neonatologia, con bimbi prematuri. “Bisogna cercare di immaginare una madre che sta per partorire in queste condizioni o immaginare un bambino che è in un'incubatrice e non c'è più elettricità. Servono subito i corridoi umanitari per portare gli aiuti”.
Le palestinesi in gravidanza a Gaza sono 50mila, stima Riham Jafari, coordinatore Advocacy e Comunicazione per la Palestina di ActionAid. “Siamo preoccupati per loro e per i neonati. Viene chiesto alla popolazione civile di compiere la scelta impossibile di fuggire senza alcuna garanzia di sicurezza o di rimanere a rischio di morte quasi certa”.