Non solo un valore strategico, l’Afghanistan ha anche un valore economico importante. Le risorse minerarie nascoste sotto il terreno valgono probabilmente 3mila miliardi di dollari. Più dei 2,3mila miliardi di dollari spesi dagli americani in vent’anni di presenza nel Paese (50mila dollari per ogni cittadino afghano). Risorse che darebbero fiato all’esangue Pil afghano e darebbero lavoro, ma che, al momento, restano in larga parte una risorsa potenziale.
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Secondo analisi del Servizio Geologico degli Stati Uniti, integrate da altre ricerche effettuate dal ministero delle miniere, l’Afghanistan ha 1.500 zone minerarie, molte delle quali non sfruttate,, con grandi riserve di rame, ferro, oro, platino, cobalto, uranio, tungsteno, stagno, cromo, alluminio, mercurio.
Giacimenti potenziali di marmo sono stati identificati da tempo e, storicamente, è alta la produzione di pietre preziose e semi-preziose, in particolare di smeraldi e lapislazzuli (il migliore del mondo) ma anche rubini, topazi, granati, turchese. Nel nord del paese – a Shebergan, Sar e Pul e Faryab, ai confini con Turkmenistan e Tagikistan – esistono anche riserve non indifferenti di petrolio e gas, anche se non tali da trasformarlo in una nazione esportatrice. Secondo stime di Washington, quanto basta per alimentare i fabbisogni dei cittadini per 20-30 anni.
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L’Afghanistan, poi, potrebbe anche essere territorio di transito di petrolio e gas. È stato cancellato il vecchio progetto dell’oleodotto della Unocal, che doveva portare verso il Pakistan (e i mercati asiatici) il petrolio del Mar Caspio: si disse che garantire la sua costruzione sarebbe stato uno dei motivi dell’intervento americano in Afghanistan. Si è invece concretizzato il gasdotto Trans-Afghanistan pipeline, che porterà il gas estratto dai giacimenti turkmeni di Galkynysh fino al confine tra Pakistan e India. Il gasdotto è lungo 1.814 chilometri e la sua costruzione, che costerà 10 miliardi di dollari, è iniziata nel 2015 in Turkmenistan e, nel 2018 (con l’accordo dei talebani), in Afghanistan, dove corre dal confine afghano ad Herat, poi prosegue verso Kandahar e da lì va in Pakistan, fino al confine indiano.
Tra i primi ad agire per mettere le mani sui giacimenti afghani è stata la Cina che, nel 2008, ha siglato un contratto per estrarre per 30 anni il ricco giacimento di rame di Mes Aynak, 40 chilometri a sudest di Kabul, potenzialmente il secondo più prezioso al mondo. I lavori (che comprendevano anche la costruzione di una ferrovia) non sono mai iniziati (si dice che, col prezzo del rame basso, la Cina abbia voluto acquisire i diritti per congelarli, impedendo ad altri operatori di usufruirne).
Potenzialmente di grandissimo rilievo strategico sono i giacimenti di litio (utilizzato nella fabbricazione delle batterie) nella provincia di Ghazni, che potrebbero essere secondi solo a quelli della Bolivia e quelli di terre rare – essenziali per elettronica civile e industriale e in particolare per comunicazioni e difesa – scoperti a Kanneshin, nella provincia di Helmand: è un giacimento che si ritiene possa valere 1,4 miliardi di tonnellate di terre rare, e che contiene anche uranio. Adesso è tutto nelle mani dei talebani, che dovranno anche decidere che fare della ricca produzione di droga – 6.300 tonnellate nel 2020 – che vale, in Afghanistan, 350 milioni di dollari l’anno. Hanno promesso di eradicare le cotivazioni di oppio,che che finora sono state per i turbanti neri una fonte di risorse preziosa, che è servita loro per finanziare la guerra contro gli occidentali. Ma è tutto da vedere. Si richiamano alla Sharia, ma pecunia non olet.