Roma, 14 giugno 2024 – Rinviare le nomine europee dopo le elezioni francesi a Giorgia Meloni converrebbe più che a tutti gli altri. Un’eventuale vittoria di Marine Le Pen è destinata a cambiare radicalmente il quadro a Bruxelles. La premier italiana non si può permettere però di essere l’unica a spingere per questa soluzione. Dunque, se l’imperativo è fare presto allora avanti tutta verso la riconferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. Se è vero che una sconfitta di Macron mescolerebbe tutte le carte, è altrettanto vero che un suo successo gli restituirebbe in parte la sorte che ha perso.
Per questo, Meloni lascerà correre per l’accordo, consapevole che il caos politico potrebbe portare instabilità ai mercati. È decisa a continuare a giocare nel campo dei leader affidabili: senza inutili prove di forza e senza esibire l’intesa politica con von der Leyen. Lavora sottotraccia: sia perché socialisti e liberali continuano a chiedere l’esclusione di FdI dalla futura maggioranza Ursula. Sia per evitare inutili tensioni con Le Pen e Salvini, ostili al bis della tedesca.
Che poi, la premier non ha rinunciato all’idea di allargare il perimetro dell’accordo al maggior numero di componenti del gruppo Ecr, di cui è presidente. Forte è il timore che il ‘cordone sanitario’ steso intorno ai polacchi del Pis o agli spagnoli di Vox spinga questi partiti verso l’altra destra, quella di Identità e democrazia. Che è l’esatto contrario di quanto vorrebbe Giorgia Meloni che punta a ingrossare la truppa a Bruxelles. Attualmente gli eurodeputati di Ecr sono 77 e potrebbero diventare 83 con l’ingresso dei sei rumeni di Aur. Se il terremoto dentro la formazione francese Reconquete non produrrà l’addio dei 5 eletti, il suo gruppo avrebbe 83 eurodeputati contro gli 82 di Renew, diventando la terza formazione dell’Europarlamento. Si vedrà.
Tutto si tiene: l’altra faccia della grande trattativa per il bis di Ursula è Antonio Costa. Il portoghese è in pole position per la presidenza del Consiglio europeo, ma sulla sua testa incombe l’inchiesta giudiziaria che ha portato alle sue dimissioni da capo del governo lo scorso novembre. Il nome alternativo più gettonato è quello della premier danese Mette Frederiksen, e in subordine quello di Enrico Letta. Mentre alla presidenza del Parlamento dovrebbe essere riconfermata Roberta Metsola. La discussione sui ’top jobs’ entrerà nel merito nella cena dei leader a Bruxelles di lunedì. In quella sede, Giorgia Meloni parlerà pure con il primo ministro ungherese Viktor Orban: bisogna aspettare qualche giorno per capire se Fidesz entrerà o no nei Conservatori. Il gruppo è diviso: i polacchi del Pis spingono per l’ingresso, ma la delegazione ceca ha già minacciato che, nel caso, busserà alle porte del Ppe.
Un punto fermo c’è: Antonio Tajani si chiama fuori dal valzer. Da giorni il suo nome circolava come possibile commissario indicato dal governo italiano, ma il vicepremier ha deciso di stoppare i boatos: "Mi autoescludo da qualunque toto-nomine in Europa. Credo che possa essere più utile al servizio del nostro Paese". D’altra parte l’eventualità che la premier si privasse del ministro degli Esteri e leader di FI era sempre apparsa remota. Meno improbabile l’ipotesi Raffaele Fitto: avrebbe la fisionomia politica adatta per una commissione economica. Ma Giorgia Meloni rinuncerà al regista del Pnrr?
Qualora dovesse optare per un tecnico, l’identikit più quotato – magari per la casella di Alto rappresentante della politica estera – sembra essere quello dell’ex ministro Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo. La partita è tutta ancora da giocare; lo stesso Tajani ammette che è "complicato" che si arrivi a un nuovo assetto prima del voto in Francia: "È sempre meglio aspettare le elezioni per evitare che si creino forzature o polemiche. I tempi sono molto stretti, anche per indicare il presidente della Commissione".