Sanremo, 1 febbraio 2025 – “Me l’auguro, lo spero e prego”. Il filo che lega le parole di Noa sul silenzio delle armi in Medio Oriente è sottile come quello che regge la tregua tra Israele e Hamas. “Temo sempre che qualche estremista pazzo di entrambe le parti possa spezzarlo, impedendo il ritorno in famiglia di tutti gli ostaggi e quello della gente di Gaza nelle proprie case”, racconta lei, Achinoam Nini, israeliana, Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia e Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana chiamata dal Festival di Sanremo l’11 febbraio ad aprire la sua 75ª edizione assieme alla palestinese Mira Awad con una versione a due voci della sempiterna ’Imagine’ di John Lennon.
Dice di tornare a Sanremo spinta dal proposito che gli artisti non debbano solo riflettere la realtà, ma contribuire a crearla.
“Penso che nella storia dell’uomo sia accaduto in più occasioni di vedere idee e sogni trasformarsi in realtà. Quindi ora dobbiamo decidere su quale puntare. Penso, infatti, che la razza umana si trovi davanti ad un bivio nella necessità di decidere quale direzione prendere. Una è quella di separare le persone, costruire muri, scivolare nella paura, nel sospetto, dall’avidità. L’altra opzione è invece quella che ha sempre accompagnato la visione degli artisti, delle persone belle e coraggiose, come Martin Luther King o Gandhi, secondo cui se non consideriamo la solidarietà umana e l’ambiente come i valori più alti della vita sulla terra, allora abbiamo un problema. Dobbiamo capire quanto siamo interconnessi, quanto il nostro benessere dipenda da quell’altro. Concetto che esiste in tutte le religioni, in tutti gli insegnamenti spirituali, in tutta la filosofia, è sempre la stessa idea, ma deve essere un concetto centrale della nostra vita ora se vogliamo superare la crisi climatica, se vogliamo sopravvivere come razza umana. Dobbiamo cambiare la nostra mentalità, quindi questo è il sogno e questa è l’idea che stiamo proponendo in ogni modo, nelle parole, nella musica, nelle cose che facciamo. E quindi credo che non sia solo un sogno, è un sogno che si manifesta nella realtà”.
Due popoli due Stati, ma la Knesset ha da tempo respinto l’idea.
“È stato respinto dall’attuale governo. Ma questo governo è un pericolo per Israele e per il popolo ebraico, quindi, abbiamo la responsabilità di liberarcene il prima possibile. E questo governo, infatti, il vero nemico del popolo israeliano e del popolo ebraico. Penso che nel mondo non ci sia stato un aumento dell’antisemitismo così forte come quello che stiamo vivendo ora dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. E questo è dovuto al modo in cui il governo israeliano si è comportato e ha gestito il conflitto. Ovvio che non voglia nulla che possa avvantaggiare il popolo israeliano e la pace. Ha un’idea messianica, distruttiva, pericolosa, analoga a quella che cova pure altrove, come dimostrato dalle recenti elezioni americane. Dal mio punto di vista non c’è altra soluzione se non quella dei due Stati, se Israele e Palestina non trovano un modo di coesistere e affrontare le urgenze dei tempi fianco a fianco, crolleremo uno sull’altro in una guerra senza fine”.
Trump propone addirittura di deportare i palestinesi in altri territori.
“Trump è un pazzo. Dice così tante cose stupide. All’inizio gli ho dato credito perché, se non fosse stato per lui, non avremmo visto alcun ostaggio tornare. Netanyau ha fatto di tutto per impedire il loro rientro in famiglia perché non voleva fermare la guerra. Ma Trump l’ha forzato a farlo. D’altronde una situazione folle ha bisogno di un folle e così inizialmente abbiamo ottenuto qualche piccolo beneficio dal nuovo presidente. Ma poi certe sue uscite sono state sconcertanti. La grande domanda è se Trump continuerà a fare pressione o meno su Netanyahu, perché da questo dipende il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco. E sarebbe solo il primo passo. Se il processo di pace iniziasse davvero potremmo dire di aver vinto tutti la guerra”.
Lei ha dei familiari in armi in questo momento?
“A Gaza grazie a Dio no. Ma mia figlia, ventenne, è nell’esercito come tutti quelli della sua età. E per me non è facile. Al momento non si trova in zona di guerra, ma se la situazione peggiorasse potrebbe essere mandata in qualsiasi momento al fronte. È il paradosso di Israele. Da un lato, siamo un piccolo Paese circondato da nemici con cui non è stato capace di pacificarsi. E questo è il grande fallimento di tutti i nostri governi e di quelli dei Paesi attorno a noi. Ma, dall’altro lato, l’ultima cosa che vogliamo è combattere”.
Quanto incide questo particolare momento nella sua vita d’artista, nelle canzoni del suo nuovo album ’The giver’?
“Si tratta di un progetto musicale nato dalla crisi seguita al massacro del 7 ottobre, quindi pieno di riflessioni, ma pure poetiche, subliminali, realizzato con il chitarrista Gil Dor e con la collaborazione di un meraviglioso pianista ucraino di nome Ruslan Sirota”.
Perché ha scelto di aprire il Festival con ’Imagine’?
“Per due motivi. Primo, perché Sanremo mi ha chiesto di eseguire questa canzone e secondo perché l’avevo già registrata 25 anni fa con Khaled unendo arabo, inglese ed ebraico, quindi avevo già avuto questa idea di fondere le tre lingue”.