di Roberto Brunelli
ROMA
sì, Londra no, Pechino forse: è quantomai erratica la mappa degli ipotetici spostamenti che si apre a Benjamin Netanyahu e al suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant dopo i mandati d’arresto emessi dalla Corte penale internazionale per "crimini di guerra e contro l’umanità". Il viaggio che il premier israeliano potrebbe intraprendere stando alle dichiarazioni dei leader globali è una sorta di linea che va a zig-zag intorno al pianeta, da Washington alla capitale ungherese, toccando pure Mosca e Belgrado. Da evitare, pena l’arresto, la capitale del Regno Unito, ovviamente Teheran (ma questa non è certo una sorpresa), ma anche Dublino, per dire. Per quanto riguarda l’Italia, se dipendesse da Matteo Salvini le porte si spalancherebbero subito: "Netanyahu è il benvenuto". Ma il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani rivendica su questi temi il ruolo di palazzo Chigi e della Farnesina dopo le divisioni emerse nell’esecutivo.
Nessun dubbio a . Nel senso che non erano passate 24 ore dall’annuncio della Cpi, che il premier ungherese Viktor Orban – il cui Paese attualmente detiene la presidenza di turno dell’Ue – inoltrava un’offerta formale al primo ministro d’Israele: "Lo inviterò in Ungheria, dove posso garantirgli che la sentenza non avrà alcun effetto".
Certamente Bibi può contare sulla disponibilità della Casa Bianca, dalla quale già giovedì Joe Biden aveva chiarito la sua posizione: questi mandati d’arresto, così il presidente Usa, sono "scandalosi". Parole dure nei confronti della Corte dell’Aja arrivano anche da Mosca, dove il Cremlino fa sapere che considera le sue decisioni "insignificanti", pertanto "non ci sono motivi per commentarle". Netta invece la posizione del governo britannico: il Regno Unito "rispetterà i suoi obblighi legali" per quel che riguarda la richiesta dell’Aja. E mentre le dichiarazioni in arrivo dall’Iran sono inequivocabili (la decisione della Cpi equivale alla "fine e alla morte politica" di Israele), appare decisamente più diplomatica la posizione di Pechino, che sollecita la Corte penale internazionale a perseguire "una posizione oggettiva". In bilico tra solidarietà a Israele e lealtà agli organi della giustizia internazionale invece il posizionamento di Berlino: il governo tedesco, ha affermato il portavoce di Olaf Scholz, "esaminerà coscienziosamente i passi da compiere. Che saranno intrapresi solo quando sarà prevedibile una visita in Germania di Netanyahu e di Gallant". In quanto al potenziale di scontro che la sentenza dell’Aja potrebbe portare con sé a Bruxelles, basta registrare le parole di un alto funzionario dell’Ue: se Netanyahu davvero toccasse suolo ungherese senza esser messo agli arresti, "violerebbe i suoi obblighi legali internazionali".